100 metri, da porta a porta.
Stiamo vincendo uno a zero. Se chiudiamo gli occhi possiamo ancora sentire il respiro affannoso del nostro vicino di posto che ha appena ripreso fiato dopo la folle esultanza al gol di Grosso. Tremano le mani, lo sguardo si aggrappa alla lancetta dei secondi che non vuole saperne di andare avanti. Si prega, ognuno a modo proprio. Manca poco, ma conosciamo bene ciò che ci aspetta: sofferenza. In trincea fino all’ultimo secondo, in apnea, da veri italiani.
Pochi ricordi, imbevuti di sudore e paura di non farcela. Ma un’immagine chiara l’ho sempre portata nella mente. La rabbia di Alessandro Del Piero al minuto 120.
Un attimo prima a tamponare l’inserimento di Neuville nell’area azzurra, come il più diligente dei terzini. Poi via, ad inseguire il sogno.
Perché nella corsa di Del Piero si legge la voglia di cancellare il passato, quel maledetto errore nella finale di Euro 2000.
Quella corsa è così densa di significato che quasi si riesce a toccare. Nel silenzio dei ricordi si percepisce il suono dei passi, uno dopo l’altro, sempre più veloci. Si vede Cannavaro che ruba palla, si vede Totti che alza la testa e serve Gilardino. E poi si vede la falcata di Alex che taglia in due l’aria di Dortmund gonfia di lacrime tedesche.
Si sente il battito del cuore di una Nazione. Poi il respiro si spezza e gli occhi spingono il pallone all’incrocio, non a caso. Il tiro a giro sul palo più lontano, il gol della classe, il gol “alla Del Piero”.
E in un istante Alex si prende tutto, milioni di tifosi ora sono ubriachi di azzurro.
Nessuno potrà mai toglierci il ricordo di quei minuti folli.
Io conservo gelosamente nella mente quella corsa di Del Piero. Qualche volta, quando sono più triste, vado a ripescarla nel cassetto dei momenti indimenticabili. E a distanza di anni le sensazioni non sono cambiate.