Massimo Moratti, storico presidente dell’Inter, in un’intervista a La Gazzetta dello Sport si è raccontato a tutto tondo, rispondendo anche alle domande di attualità.
IL 5 MAGGIO – «Niente viene esorcizzato nel calcio, quel 5 maggio resta. Anche se Milito poi lo rese meno amaro. Io però nel dubbio per scaramanzia quel giorno a Roma non andai».
LO SCUDETTO CONTRO IL SIENA – «Fu festa vera anche in spogliatoio. Lo scudetto ci preparò al meglio per la Champions. Ricordo il rientro in auto a Milano: una lunga onda nerazzurra, i tifosi che mi affiancavano anche per farmi gli auguri di compleanno. Bellissimo!».
LA CHAMPIONS A MADRID – «Sembrerà strano, ma è un’immagine vista dopo in tv. Una ragazza coi capelli corti e la maglia nerazzurra che piange a dirotto. L’emblema della felicità regalata a tanta gente. Poi il primo gol di Milito, per l’importanza e la bellezza, quell’esitazione con cui fece perdere il tempo a portiere e difensore. Diego era così, classe purissima: anche i suoi silenzi erano delle lezioni».
IL RITORNO A MILANO – «Ero svuotato, avendo centrato l’obiettivo rincorso da sempre. Pensai “ora cosa può andare storto? Ah già, Mou che ci lascia…”. Decisi di non rientrare a Milano con la squadra perché non c’era Mou e non volevo essere io al centro dell’attenzione. Lasciai che a portare la Coppa a San Siro fosse mio figlio Mao, che come il resto della famiglia mi era stato vicino in quel percorso».
MANCINI – «Aveva costruito la casa negli anni precedenti. In Italia prima di lui non vincevamo, anche perché c’era una ragione molto importante… È un grande allenatore, come sta confermando in Nazionale. E pensare che decisi di prenderlo dopo che nel Natale 2003 mi regalò una maglia di lana dell’Inter con uno scudetto enorme e nel biglietto scrisse “Se vuole tornare a vincere, io sono a disposizione…”».
LAUTARO AL BARCELLONA – «Se arriva Messi, ci sto. E se Leo è impossibile, al posto del Toro vorrei Dybala».