L’estremo difensore della Fiorentina, Bartlomiej Dragowski, ha rilasciato una lunga intervista all’edizione di Firenze de la Repubblica.
LA SCELTA DEL RUOLO – «Da bambino vedevo mio padre giocare ed era il mio idolo. Così ho iniziato anche io ma non volevo faticare, non volevo sudare. Quindi ho iniziato giocando come esterno d’attacco perché così non dovevo rientrare in difesa. Meno corsa, meno fatica. È per questo che poi sono finito in porta».
LA CHIAMATA DELLA FIORENTINA – «Ero molto giovane ma mi stavo affermando e in quegli anni c’erano alcuni club europei interessati a me. Mi sentivo pronto per il salto. Ho scelto Firenze sia per le opportunità che per le sue ambizioni. E poi anche per la città, una bellezza autentica nel mondo. Il primo anno avevo messo in conto che sarebbe stato di apprendimento per me. Dovevo entrare nei meccanismi».
LO PSICOLOGO – «Ci sono rimasto male, ero deluso. Non sapevo cosa fare e per me è stato un momento molto duro. A quei tempi ero anche un po’ una testa calda. Ne sono venuto fuori con un percorso che ho intrapreso con uno psicologo polacco, che tutt’ora mi assiste. Mi ha aiutato a gestire meglio le mie emozioni, i miei pensieri. Non mi ha aiutato solo lui però. Anche il preparatore dei portieri Alejandro Rosalen Lopez, col quale ho un rapporto fantastico. Ci conosciamo ormai da cinque anni e quando vado all’allenamento riesco sempre a divertirmi. E poi la musica, compagna di una vita: amo il genere rap, ascolto tanti artisti ma soprattutto Sfera Ebbasta e Federico Orecchia, in arte Boro Boro».
PROSPETTIVE – «Dopo il prestito all’Empoli avevo già deciso di non rimanere. Perché non vedevo prospettive per me. Poi però, quando sono tornato da Empoli, è cambiato tutto. Una nuova proprietà, una nuova dirigenza. Ho parlato col presidente Commisso e coi dirigenti e ho deciso di rimanere».
FUTURO – «Contano molto anche le persone che stanno intorno a me. Come i miei genitori, che appena possono vengono a trovarmi. Sono tutti felici, amano questa città. Vivo con Agnieszka, la mia compagna e anche lei qui si trova benissimo. Perché mai dovrei pensarmi altrove? Io sto bene, sono felice. Le persone a me care anche. E dunque sono ancor più felice».
DIFFICOLTÀ – «Il gruppo conta più di qualsiasi altra persona. Anche di me. Conta quel che abbiamo sul petto, il giglio della Fiorentina. Preferirei essere sempre il peggiore in campo e vincere tutte le partite piuttosto che essere uno dei migliori ma non fare risultato. Stiamo facendo in ogni gara un passo in avanti e sono sicuro che presto ne usciremo perché stiamo lavorando fortemente per questo. Parlo spesso coi miei connazionali che giocano in Serie A. E tutti mi chiedono: “ma come è possibile che la Fiorentina non sia a lottare per un posto in Europa?”. Devo essere sincero, non so cosa rispondere a volte. Perché se prendiamo la lista dei calciatori che abbiamo in rosa, uno per uno, sono tutti forti. Abbiamo un potenziale enorme, dobbiamo solamente mostrarlo ai tifosi. Sul campo».
LA BARBA – «È ispirata alla serie “Vikings” che ho guardato su Netflix. Mi è piaciuto così tanto quello stile che non me la sono più tagliata. Anzi, voglio allungarla ancora di più e tornare ai livelli di qualche mese fa, quando eravamo in quarantena. È faticoso gestirla? Eh, insomma. La curo con shampoo e oli particolari. Piace molto alla mia ragazza, anche perché dice che così mi copre il viso e sono più carino. Piace un po’ meno a mia madre, che vorrebbe vedermi meglio il viso».