Marten de Roon ci ha aperto le porte della sua casa di Bergamo, invitandoci a cena per una chiacchierata. Abbiamo parlato della sua idea di calcio, di comunicazione, dell’utilizzo dei social e dell’Olanda. Di prospettive, di vita. Tutto racchiuso in questo contenuto video.
IBRAHIMOVIC – «È stata una bella cosa, però ogni tanto penso: ‘Mamma mia!’. Ancora oggi, dopo aver pubblicato quel video sul siparietto di Ibra, mi arrivano tantissimi messaggi. Anche dopo la sconfitta contro il Real: cento messaggi in Direct dai milanisti. A me non dà fastidio, però è un peccato. Faccio sempre ironia e autorinoia: ma si vede che loro si sentono attaccati. Però lo rifarei. Anche perché se lo fai in modo duro sbagli, io l’ho fatto scherzando, enfatizzando anche il fatto che da lui bisogna scappare perché ha un fisico impressionante».
ULTIMA DI CAMPIONATO CONTRO IL MILAN – «Probabilmente Ibra mi darà uno schiaffo (ride, ndr), ma lo prendo molto volentieri. Avrebbe anche ragione a farlo, ma dopo uno scherzo accetto tutto. Ci sta che un giocatore ‘piccolo’ come me abbia toccato un tasto sbagliato nei confronti di in campione così grande. Poi credo che anche lui sia il primo a scherzare… L’ho visto a Sanremo e mi è piaciuto molto».
SOCIAL NETWORK – «Il mondo dei social in Italia è indietro rispetto ad esempio a quanto accade in Inghilterra o negli Stati Uniti. Prendi il football americano: lì c’è sempre lo sfottò dopo la partita. Forse qui in Italia, storicamente, c’è la cultura del rispetto, ma non c’entra quello. Personalmente, per quel che riguarda la gestione social, la società Atalanta non mi dà nessuna direttiva. Però indubbiamente c’è sempre la volontà di proteggere l’immagine dell’atleta. Secondo me sui social deve esserci la libertà di esprimersi. Io posto anche dopo una sconfitta. Sarebbe troppo facile pubblicare qualcosa soltanto quando vinci. Quando perdi, arrivi a casa, magari rimani incazzato un giorno, poi finisce lì. Magari si pensa che il calciatore debba parlare solo di calcio e sapere soltanto di quello. Ma dopo l’allenamento c’è un’altra vita anche per noi. Chiaro: dobbiamo essere concentrati sul nostro lavoro. Ma poi dopo bisogna anche saper scindere la vita professionale da quella personale».
REAL MADRID – «Ovviamente parliamo di giocatori molto forti, che non sbagliano nei momenti importanti della partita. Dopo l’1-0 hanno preso anche più fiducia: forse, se fossimo arrivati sullo 0-0 all’intervallo, per loro sarebbe diventata più difficile. Però non sbagliano mai uno stop, sono stati più forti di noi. Abbiamo provato a pressarli, a dare ampiezza, ma sono troppi bravi. In Champions League le partite vengono decise dai dettagli e loro non sbagliano nei dettagli. Là vedi la differenza tra il Real, i migliori giocatori del mondo, e noi. Poi quando sbagli troppo, in questi casi, ti ritrovi più a rincorrere che a giocare. Dopo l’eliminazione tutti dicevano di non aver visto la ‘solita Atalanta’. Da una parte magari ti dà fastidio, però poi pensi… ‘Questo vuol dire che stiamo facendo molto bene. Cinque anni fa nessuno avrebbe mai pensato tutto ciò’. Quando sono arrivato qui a Bergamo, il primo anno, lottavamo per la salvezza. È stato un peccato non aver potuto giocare al ‘Bernabéu’. Non dico che sembrasse un’amichevole, perché comunque sapevamo quello che ci stavamo giocando, però l’ambiente non era quello delle grandi sfide».
IMPRESSIONATO – «Kroos e Modric non sbagliano mai. Fanno uno due, stop orientato sul piede giusto per il passaggio. Però se guardi come giocano di squadra… magari c’è Modric in difficoltà, che è pressato, e subito arriva Benzema che gli fa l’uno due e così creano ancora uno o due metri di spazio. Per capirci: quando io sono in difficoltà, la passo a un compagno e spero che si inventi qualcosa. Invece loro sono sempre in movimento dopo aver passato il pallone, pronti per ricevere di nuovo. Anche i difensori sono spesso posizionati bene e fanno giocare male l’attaccante avversario».
TECNICA E RUOLO – «Questa crescita l’ho avuta con Gasperini. Mi ha detto fin dal primo momento: ‘Devi giocare in avanti, ma più pulito. Quando hai la palla, devi trovare Ilicic, devi trovare Duván’. Però vuole che giochiamo palla a terra. Il lancio lungo ce l’ho, ce l’ho sempre avuto, ma lo utilizzavo di più il primo anno con Reja, quando giocavo ancora di più in mezzo al campo. In generale ho avuto una crescita abbastanza importante negli ultimi cinque anni, secondo me. Comunque lo dico sempre che con Gasperini non ce la farò a giocare altri cinque anni con questo ritmo lì in mezzo (sorride, ndr), perché devi correre davvero tanto. Secondo me posso giocare anche nei tre dietro, però ricordiamoci che all’Atalanta anche i tre dietro corrono tanto eh. In fase difensiva posso migliorare. Da centrocampista, mi ritrovo quasi sempre a pressare in avanti, c’è poca profondità dietro, sono coperto, c’è sempre un difensore. In quel ruolo però non puoi mai sbagliare, sei l’ultimo praticamente: un errore e rischi di subire gol. Tra tre o quattro anni mi vedo come difensore. Ora sono più maturo, so dare equilibrio, mi piacerebbe attaccare un po’ di più, non forse a fare l’ultimo passaggio decisivo, ma a gestire il pallone più avanti».
GASPERINI – «Ci dice sempre di passare e giocare in verticale. Meglio perdere il pallone lontano dalla propria porta che vicino. Anche perché se giochiamo in orizzontale o all’indietro, piano piano si arriva al portiere, ti schiacci e in generale è più facile far pressare l’avversario , che così si ritrova sempre a correre in avanti, e non a retrocedere per recuperare. In allenamento non facciamo mai un possesso palla di quantità, con tanti passaggi, ma cercando di giocare sempre in avanti, in modo più diretto».
LIBRO – «Mi piace comunicare, ma non so se riuscirei mai a scrivere un libro. Mi trovo meglio ad esprimere ciò che penso sul momento, riguardo a una determinata situazione. Leggo molto e spesso, anche se in italiano faccio fatica… Ci sono tante parole che non conosco, la lingua italiana è complessa. Ovviamente ho imparato prima e meglio il gergo calcistico, ma è chiaro che se vado al supermercato o al ristorante so esprimermi. Quando leggo in italiano ci sono termini che non conosco. A me ad esempio piacciono i gialli, però riesco a leggerli soltanto in olandese, anche in inglese faccio fatica a leggerli, nonostante lo parli meglio dell’italiano, ma in ogni caso mi viene difficile a capire il significato e il senso di certi passaggi».
SPOGLIATOIO – «Ogni tanto mia moglie mi chiede: ‘Ma cos’hai fatto a Zingonia oggi?’. E io: ‘ Niente…’. Poi magari sono stato tre ore nello spogliatoio coi compagni a scherzare. Il fatto è che non è facile spiegare che cosa si prova e che cosa si vive in questo luogo speciale. Sono piccole cose».
AMBIZIONI – «È difficile, molto difficile. C’è una parte di te che vorrebbe vincere un trofeo, lo Scudetto, qualcosa. Poi dall’altra parte la vita a Bergamo mi piace, la mia famiglia sta bene qui, la società è seria. E di nuovo però pensi se ci fosse la possibilità di fare il salto in una big storica come l’Inter o la Juventus. Ma l’Atalanta ad oggi, ogni stagione, è sempre tra i primi quattro posti della classifica. Gioco in Nazionale, mi sento importante. Mi piacerebbe finire la mia carriera qui, poi nel calcio non si sa mai, ma ad ora la sensazione è questa».
DOPO IL CALCIO – «Io e mia moglie parliamo spesso di queste cose. Due o tre anni fa ero convinto di lasciare il calcio una volta finita la carriera. Volevo scoprire cose nuove. Alla fine, facendo il calciatore, si frequenta un ambiente ‘piccolo’, si parla spesso delle stesse cose. Vorrei realizzarmi come imprenditore».
RESTARE NEL CALCIO – «Sicuramente quando sei un calciatore, poi è più facile rimanere nell’ambiente. I miei compagni mi dicono spesso che potrei diventare un buon allenatore. Adesso sto pensando di fare il corso dopo il ritiro, ma non ho ancora deciso. Voglio anche dare a mia moglie la possibilità di realizzarsi, dipende anche dalle nostre figlie quando cresceranno».
VIVERE IN ITALIA – «In Italia stiamo bene, c’è la montagna, c’è il mare, i laghi, le isole. Andiamo spesso sul Garda o sul Lago di Como. Sono due anni di fila che andiamo in vacanza in Sardegna: la preferisco anche alle Maldive, visto che sono stata anche lì, lo posso dire. Le bambine sono cresciute qui, parlano italiano meglio di me. Addirittura due sono nate qui a Bergamo, solo la prima è nata in Olanda ma ci ha vissuto soltanto due anni e mezzo. Anche loro sono più italiane che olandesi».
TEMPO LIBERO – «Non guardo molte partite. Sono quasi sempre via, ritiri, trasferte. Mi piace dedicare più tempo alla mia famiglia, gioco con le mie bimbe».
NAZIONALE – «Mi sento molto importante. Anche Van Dijk e Wijnaldum, per esempio, hanno detto: ‘Marten è importante per noi’. E questo non è male. Oggi in Olanda c’è sempre il dibattito: De Roon gioca, De Roon non gioca. Forse uno che non vede il calcio in un certo modo, non capisce l’importanza del mio ruolo. Anche a me piace vedere più Messi o Cristiano Ronaldo. Però l’importanza che mi danno i miei compagni non può che inorgoglirmi».
VAN DIJK – «Lui è il ‘capo’. Se lui entra nello spogliatoio… c’è. Poi scherza, ovvio, ma in campo è molto serio. Se lui sbaglia, è il primo ad alzare la mano, ma se un altro sbaglia è il primo a fartelo notare. È il leader, parla molto durante le partite. Fa tutto nel modo giusto. Un po’ come me, dai… Cerco sempre di spronare, con i toni giusti. Più che altro mi sento più un osservatore, provo sempre a capire chi è in difficoltà dentro allo spogliatoio per aiutarlo».