Alzi la mano chi sa rispondere. «Cos’ha fatto Krzysztof Piatek in questi due anni lontano dall’Italia?». Riassunto: ha ‘sparato’ poco più di 10 volte, si è goduto l’Hertha Berlino, ha provato a portare a spasso la Vecchia Signora di Germania ed è diventato uno spot della Casa di Carta. Quando ha indossato la maschera di Dalì era ancora del Milan, ma siamo lì, e dopo più di due anni Piatek torna in Serie A. Se l’è preso la Fiorentina di Italiano, bramosa di affiancare a Vlahovic un vice di spessore per poi traghettarlo fino alla maglia da titolare. Il ‘pistolero’ c’è. E chissà se cercherà i suoi nuovi compagni alla PlayStation anche stavolta, come ai tempi del Genoa. «Non sapevo chi fossero».
Aragoste e gol
Due anni tosti. Tutt’altra cosa rispetto al bomber di Genoa, preso da Preziosi tre anni fa davanti a un piatto di aragoste a Ibiza. Leggenda narra che il vecchio patron dei rossoblù, affascinato dai bomber sconosciuti e tutt’altro che mainstream, stesse pranzando nella sua villa sul Mediterraneo. Insieme a lui Gabriele Giuffrida, professione agente, che approfittò del cambio di portata per introdurre l’argomento Piatek. «Ne ho uno forte. L’anno scorso ha segnato 20 gol a Cracovia, è polacco, fossi in lei lo guarderei». «Hai un video?». Gabriele, lesto e furbo, tirò fuori lo smartphone. Giocate, gol, colpi di testa. Colpo di fulmine. «È stato amore a prima vista». E Piatek – che si pronuncia ‘Piontek’, ricordiamolo – finisce a Genova. per 5 milioni. Il resto è storia: 9 gol nelle prime 7 giornate, quattro reti in Coppa Italia contro il Lecce e la stima di Ballardini. «Ho paura a parlare di lui. È un attaccante completo, veloce, forte». Un bomber. Tant’è che a gennaio finisce al Milan per 35 milioni. Altri 9 gol. Sembra l’inizio di una storia d’amore, ma dura fino a gennaio 2020.
Due anni difficili
Negli ultimi due anni è stato uno di quei nomi tirato fuori una tantum nelle chat sul fantacalcio. «Quel colpo preso a uno». A gennaio 2020 lascia il Milan a causa di Ibra: «Dopo il suo arrivo non ho giocato un minuto. Non volevo stare 5-6 partite in panchina». Così lascia San Siro dopo un anno e vola all’Hertha Berlino, dove in sei mesi segna 5 gol in 16 partite. La stagione scorsa, la prima giocata per intero in un club dai tempi del KS Cracovia, tocca 7 reti in 32 gare. Nel frattempo l’Hertha 4 allenatori: Klinsmann, Nouri, Dardai e Labbadia, che ne critica subito la posizione in campo. «Deve entrare nel vivo del gioco, lavorare di più». Iniziano a chiamarlo il «mangiallenatori», soprattutto perché tra Italia e Germania è un cambio continuo: Ballardini, Juric, Prandelli, Gattuso, Giampaolo e Pioli, che una volta si infastidì per alcune dichiarazioni del papà. «Mio figlio non vuole fare la riserva». Per far arrabbiare Stefano ce ne vuole.
«Il dj del gol»
Quest’anno ha segnato un gol in 9 partite. Paul Dardai è stato sostituito a novembre da Tayfun Korkut, ennesimo cambio in panchina. Piatek non è più il ragazzo della Lanterna, ma neanche quello di Cracovia, una Skoda con il primo stipendio e «another day in the office» come filosofia di vita. Per lui far gol è roba ordinaria, da ufficio. «Da piccolo volevo diventare un bomber. Vivevo per questo». Dopo un undicesimo e un decimo posto l’Hertha staziona ancora a metà classifica, lontana dall’Europa e dalla zona retrocessione. Piatek, 26 anni, aveva bisogno di esultare di nuovo a modo suo. «Pum pum pum» e scivolata sotto la curva, stavolta la Fiesole. Questione di sfide, sguardi. Il suo è di quelli vispi e furbi, aizza le platee con i gol e ravviva gli spogliatoi con un po’ di musica. A Cracovia faceva così. L’ha raccontato Grzegorz Kurdziel, suo vecchio allenatore: «Era il Dj dello spogliatoio. Un giorno uno dei nostri giocatori gliela tolse per scherzo, perché non gli piaceva l’hip hop, così Piatek gli rispose a modo suo. ‘Vuoi i gol? Allora tienila accesa’». Nessuno ha più spento lo stereo.