“Riparazione”: a un guasto, una mancanza, un errore di valutazione. Pochi e mirati aggiustamenti, due viti da stringere, un reparto da puntellare. Una volta: in realtà da anni il mercato invernale è soprattutto una versione più breve – e per questo più frenetica – del suo corrispettivo estivo, spesso attraversato da una fretta e da una tendenza all’improvvisazione che fa concentrare i colpi principali nell’ultima settimana o addirittura nell’ultimo giorno. Nei casi più gravi o disperati si arriva addirittura a un totale stravolgimento della rosa, come sta avvenendo in queste ore alla Salernitana. Uno stile figlio dei tempi: il mercato invernale (che una volta era autunnale) ha oltre sessant’anni, ma per oltre metà della sua vita non è passato alla storia se non per poche e selezionate circostanze.
Tanto per cominciare, lo sapevate che fino al 1992 era vietato acquistare giocatori che avessero già disputato almeno un minuto in serie A? Niente Vlahovic alla Juventus, niente Gosens all’Inter, niente Ricci al Torino. Le big che volevano rafforzarsi avrebbero dovuto pescare all’estero (molto difficile, in tempi di limitazioni agli stranieri) o al massimo in serie B, dove però si nascondevano perle niente male. Chiedere per informazioni al Napoli di Italo Allodi, che svoltò la stagione del suo primo scudetto (1986-87) acquistando a ottobre dalla Triestina per due miliardi il centrocampista Francesco “Ciccio” Romano, che diventò immediatamente cardine degli azzurri di Bianchi (e Maradona) e in meno di due stagioni partecipò addirittura agli Europei 1988 con l’Italia: sicuramente il più inatteso dei colpi autunnali del calcio anni Ottanta.
Il limite era stato imposto a partire dalla stagione 1961-62, dopo le polemiche scatenate l’anno prima dall’acquisto da parte della Juventus del talentuoso attaccante Bruno Mora a fine ottobre, dopo cinque presenze e due gol con la maglia della Sampdoria. In quel caso non aiutò la circostanza che il presidente della Juve e quello della Federcalcio fossero in rapporti, come dire, più che stretti: si trattava in entrambi i casi di Umberto Agnelli. Dall’anno dopo, perciò, fu imposto un robusto freno alle operazioni: il vincolo della presenza fu furbamente utilizzato da diversi allenatori per impedire il trasferimento di alcuni giocatori, come per esempio Franco Causio che nel 1970 fu mandato in campo dal tecnico juventino Picchi nel secondo di una partita contro il Milan per scongiurarne la cessione. Le figurine Panini dei pochi giocatori trasferiti venivano adeguatamente “riverniciate” e ricollocate nelle pagine della nuova squadra: caso limite quello di Giorgio Braglia che nell’autunno 1977 passò dal Milan al Foggia. Essendo entrambe le squadre rossonere, la foto a Milanello venne buona e fu risistemata pari pari nella pagina dei pugliesi: solo un occhio attento poteva accorgersi che le righine rossonere della maglia di Braglia erano più strette di quelle dei foggiani…
Tra gli acquisti più fortunati provenienti dall’estero anche l’intrigo internazionale che vide protagonista il primo Milan di Nereo Rocco, che nel 1961 cercò di liberarsi il prima possibile dell’attaccante inglese Jimmy Greaves, che nonostante l’ottimo rendimento non riusciva proprio ad adattarsi al rigido codice imposto dal Paròn, tanto da essere scappato almeno una volta di notte dal ritiro. Greaves fu rispedito in patria, al Tottenham, e il buco in rosa fu riempito con un acquisto a sorpresa: il brasiliano Dino Sani, splendido regista campione del mondo 1958 che però tutti ritenevano a fine corsa. Davanti alle prime foto all’aeroporto, calvo e con sottili baffetti da impiegato comunale, in molti lo scambiarono per un ex giocatore: l’abbaglio fu chiaro già dopo novanta minuti, quando guidò il Milan a una travolgente vittoria per 5-1 sulla Juventus, con quattro gol di Altafini molto più libero dall’ingombro di Greaves.
Come detto, le cose cambiarono nel 1992, quando Inter e Udinese approdarono a uno scambio che coinvolgeva per la prima volta dopo trent’anni due squadre di serie A: i friulani acquistarono Stefano Desideri, in rotta con l’ambiente nerazzurro, spedendo all’Inter il mediano Antonio Manicone che andava a riempire il buco lasciato dal tedesco Sammer, che a Milano – come si diceva all’epoca – “non aveva nemmeno svuotato gli scatoloni” e se la filò al Borussia Dortmund nel mercato di riparazione tedesco (che si svolgeva a gennaio). A quella stessa sessione risale anche l’acquisto da parte del Foggia di un ottimo attaccante dell’Ajax nel giro della Nazionale olandese, Bryan Roy, trasferimento (per circa 2 miliardi) passato alla storia come primo affare organizzato da un giovane e intraprendente agente olandese di origini italiane, tale Carmine Raiola da Nocera Inferiore. Ma questa è decisamente un’altra storia…