Il calciatore più noto del Donbass non è Moraes, non è Ismaily e non è Alan Patrick, ma un ragazzo che oggi non c’è più. Si chiamava Stepan Chubenko ed è stato ucciso a 16 anni nel 2014. Una delle prime vittime di un conflitto mai concluso, che si combatte da otto anni nel profondo Est, dove sorge il sole, e che ora si è esteso a tutta l’Ucraina. Conoscere la storia di Chubenko aiuta a capire il Donbass, cosa succede ai confini dell’Europa da duemila giorni e soprattutto perché.
Tragedia Chubenko
Chubenko era un adolescente con il sogno del pallone. Giocava da portiere nelle giovanili del Kramatorsk, club di seconda divisone a nord di Donetsk, nel ‘Donbass ucraino’. La popolazione dorme con la valigia accanto al letto e le scarpe ai piedi, perché potrebbe fuggire da casa in qualsiasi momento. I cronisti lì presenti raccontano di esplosioni, terrore, incertezza. L’elettricità è stata staccata. «Siamo al buio sotto le bombe», dicono gli abitanti, che avevano già conosciuto la paura. A luglio 2014 i militari della Repubblica di Donetsk, riconosciuta da Putin prima di invadere l’Ucraina, avevano conquistato Kramatorsk, salvo poi cadere qualche mese dopo, a ottobre. Chubenko già non c’era più. Arrestato, picchiato, torturato e ucciso da tre militanti filorussi del «Battaglione Kerch». Stepan era appena tornato da Kiev. Aveva partecipato alle proteste contro il presidente Yanukovic. Aveva una bandiera dell’Ucraina sullo zaino. Gli hanno sparato a bruciapelo. Sua madre ha cercato il corpo per settimane, ha chiesto aiuto a chiunque, alla fine l’ha trovato dopo due mesi. Dei suoi assassini – condannati all’ergastolo in contumacia – si sono perse le tracce. Pare si siano rifugiati in Crimea.
Zone di guerra
Oggi, 8 anni dopo, nel centro sportivo del Kramatorsk c’è una targa con il suo nome. È l’unica squadra del Donbass – insieme al Mariupol, a Sud – che gioca nel suo stadio. Lo Shakhtar e l’Olimpik Donetsk si sono trasferite a Kiev e a Chernigov, più vicini alla Bielorussia che a casa loro. Questo perché il pallone, in zona di guerra, è mutato in modo radicale. Alcune squadre si sono ridimensionate, altre sono state salvate tramite collette, altre ancora sono sparite. Come il Metalurg Donetsk, che tra il 2003 e il 2004 ha giocato e perso contro Lazio e Parma ai preliminari di Coppa Uefa. Nel 2014 è stato escluso dall’Europa per non aver rispettato il Fair Play finanziario. L’anno dopo ha dichiarato bancarotta. Il suo patron, Sergey Taruta, oggi membro del parlamento ucraino, dopo qualche stagione positiva ha deciso di disinvestire a causa del conflitto. Lo Stal ha preso il suo posto, ha giocato per un po’ in prima divisione, ma è fallito nel 2018.
Metalurg e Mariupol
Curioso il caso del Metalurg Zaporizhzhia, salvato da una colletta dei tifosi. Il capo cordata, Andriy Bohatchenko, ha gestiva una pizzeria, poi si è buttato nel pallone e ha ripreso il club per i capelli. Anni prima aveva fondato un club con l’azionariato popolare. Oggi è in seconda divisione. Il suo stadio – la Slavutych Arena – ospita anche le partite dello Zorya Luhansk, avversaria della Roma in Conference League, che non gioca una partita in casa dal 2014. Proprio come lo Shakhtar, il cui stato è stato bombardato anni fa. Nel 2012 ha ospitato cinque partite dell’Europeo. Il Mariupol invece, prima divisione, una delle prime città a finire sotto attacco, ha dovuto togliere «Illichivets» dal proprio nome ufficiale dopo il processo di decomunistizzazione del paese. È l’unica squadra del campionato senza neanche uno straniero in rosa. Sono tutti ucraini, rinchiusi in casa ad aspettare. Mariupol è l’ultimo centro abitato prima di Odessa, alcune abitazioni sono state sventrate dai bombardamenti. Chi è lì parla di una città «in trappola», «assediata», Il pallone non rotola più.