Tra le squadre che scenderanno in campo domani per l’inizio (sì, avete letto bene) del percorso di qualificazione al Mondiale in Qatar delle Nazionali della Confederazione dell’Oceania, ce n’è una che torna in campo dopo quasi 2400 giorni, in pratica sei anni e mezzo. Un tempo di inattività abbastanza lungo per finire anche fuori dal Ranking Fifa, dove adesso dovrebbero rientrare. Sono le Isole Cook, una quindicina di territori del Sud Pacifico. Avevano giocato per l’ultima volta il 4 settembre del 2015 in vista del mondiale di Russia 2018, poi basta. Anche perché il Covid ha rinviato tutte le sfide dei mesi scorsi per prendere parte alla Coppa del Mondo invernale. Si svolgeranno adesso, fino al 30 marzo, in un mini-torneo a Doha, in Qatar, a cui prenderanno parte 8 nazionali divise in due gironi, con partite di andata e ritorno, semifinale e finale. Chi vince non si qualificherà direttamente, ma otterrà l’accesso per un altro spareggio intercontinentale contro la quarta squadra della Concacaf, la confederazione che racchiude Nord America, America Centrale e Caraibi. Un bel labirinto.
Isole Cook, per un soffio
La Nazionale “scomparsa” dai radar del calcio ha rischiato di non esserci nemmeno stavolta, ma Samoa e Samoa americane si sono ritirate, così com’è stata costretta a fare Tonga, colpita nelle scorse settimane da un’eruzione e uno tsunami. E allora rieccole, le Isole Cook. Avranno un’altra occasione di mettersi in mostra. Anche se le chance di passare alla fase successiva sono ridotte allo zero. Non solo per loro, la Nuova Zelanda è davvero un passo avanti a tutte le altre. Sulla carta almeno. Anche perché non c”è l’Australia, che si qualifica affrontando i Paesi della zona asiatica.
«Non vi conosco»
Da dicembre i giocatori locali si allenano con la Nazionale tre o quattro volte a settimana, in attesa di avere una nuova opportunità. Ma non serve a molto. Il fatto è, spiega l’allenatore inglese Alan Taylor, che quasi tutti giocano all’estero. Otto giocatori se ne stanno in Nuova Zelanda, quattro in Australia, poi c’è il difensore Tyrrell Barringer-Tahiri che si trova sì in Inghilterra, ma nelle serie minori all’AFC South London. «Con i calciatori così sparpagliati e le restrizioni anti-Covid – ammette Taylor – in pratica non abbiamo mai avuto modo di diventare una squadra, né di giocare insieme. Non ho potuto nemmeno vedere o valutare la condizione fisica di chi era all’estero». Ma dopo sei anni, esserci sarà l’unica cosa che conta davvero. Tornare a esistere.