Ha deciso di tornare a casa a notte fonda: «Fissavo il telefono fino alle tre. Dormivo un paio d’ore e poi ricominciavo: giri di chiamate, notizie, video. Ero divorato dall’ansia, dalla paura, dalla rabbia. ‘La mia Ucraina è sotto le bombe e io sono in Turchia? Non posso restare a guardare’». Così Alexandr Dolgopolov è tornato a Kiev «per dare una mano».
«Resisto. Resistiamo»
Nel 2012 è stato numero 13 del ranking Atp. Ha vinto tre tornei in singolare e uno in doppio. Nel 2011 ha raggiunto i quarti degli Australian Open. In carriera ha battuto anche Federer e Nadal (due volte). Ha detto basta a maggio 2021 dopo un infortunio al polso e un paio di operazioni. Sembra una vita fa. «Assurdo non parlare di tennis, vero?». Vero. Con Alex parliamo al telefono. Dopo un paio di tentativi a vuoto risponde in tarda serata. È appena rientrato a casa. «Aiuto a distribuire il cibo, le armi, do una mano a chi vuole andar via e a chi è rimasto. Resisto. Resistiamo. C’è anche Sergiy Stakhovsky, ma non ci siamo ancora incrociati. Il pensiero delle bombe mi tiene sveglio, ma almeno ho imparato a sparare».
Il viaggio di Alexander
Gliel’ha insegnato un militare in Turchia: «Prima di allora avevo provato una sola volta – racconta a Cronache – non avrei mai pensato di dover impugnare un’arma al posto della solita racchetta. Non si smette mai di imparare». Prima di tornare a casa ha affrontato un bel viaggio: «Dopo la Turchia sono andato a Zagabria. Quando ho salutato mio padre è stata tosta. Nessuno della mia famiglia è felice che io sia qui, ma è la guerra. In Croazia ho incontrato alcuni ragazzi che andavano in Ucraina e mi sono aggregato. Avevano fucili e giubbotti antiproiettile». Tutt’altra cosa rispetto al borsone del tennis.
Dolgopolov: «Se cadiamo, tocca all’Europa»
A Kiev la situazione è diversa. Alex è nelle forze di difesa territoriali: «Ai confini della città si combatte. Sentiamo esplosioni, bombe, il rumore dei missili, ma non dove sono io. Vogliamo resistere, se l’Ucraina cade sarà la terza guerra mondiale». Alex ha una soluzione: «Ottenere la no fly zone. Questa è un’invasione, non un conflitto. L’Ucraina è casa mia e la difenderò fino alla fine, ma i cieli vanno protetti. È da lì che i russi sganciano bombe e distruggono famiglie. Non abbiamo abbastanza difese aeree, l’Europa e il mondo devono aiutarci. Anche perché noi resistiamo, ma se cadiamo poi tocca a loro. A voi».
Gli atleti russi e il silenzio
Il mondo dello sport è compatto. O quasi: «Non ho parlato con gli atleti russi, non saprei cosa dirgli. Alcuni di loro dicono ‘basta guerra’, ma poi? Bisogna dire le cose come stanno: Putin è un criminale, devono prendere posizione. Restare in silenzio significa supportare questa invasione». Alex non vede la fine: «I russi hanno perso molti più uomini di quanto dicono. Sono vicini a Kiev, la città si sta preparando a un assedio, ma non hanno abbastanza forze per farlo. Io comunque resto qui. Quand’ero in Turchia ero frustrato perché non potevo fare nulla, ma adesso lotto per il Paese». Nessuna paura: «Per ora no. L’ho avuta una sola volta. Prima di arrivare a Kiev sono passato in una strada devastata dai combattimenti. C’erano carri distrutti e mezzi in fiamme. Mi ha devastato. Purtroppo siamo ancora lontani dall’epilogo». Quindi si resiste.