Simone Pafundi è di un’altra generazione. Per avere la giusta dimensione della cose basta citare una sfilza di storie nostrane di pallone che non ha visto. Le lacrime di Cassano a Euro 2004, l’arbitro Moreno in Corea, l’incubo Wiltord in Olanda e il destro di Di Biagio che si stampa sulla traversa nel 1998. Quando Grosso ha segnato il rigore più importante della storia azzurra aveva pochi mesi e dormiva beato nella sua casa di Monfalcone, città di trentamila abitanti del Friuli, svegliato solo dall’urlo di gioia dei genitori, entrambi di Napoli finiti al Nord per lavoro. Storia italiana.
«Il mancino di Maradona»
Simone è un 2006, l’anno dell’Italia Campione del mondo e di Schumacher che dice stop. Contro la Salernitana ha debuttato in A con l’Udinese diventando il più giovane esordiente della stagione. I primi 20’ della sua carriera li ha giocati a 16 anni e due mesi. Fantasista dalla buona tecnica, 6 gol e 7 assist in Primavera due, «mancino di Maradona». L’ha detto Andrea Carnevale, responsabile dell’area scouting dell’Udinese, lasciandosi sfuggire il paragone. Simone è quel profilo lì: baricentro basso, un metro e 65 scarso, gran gioco di gambe, guizzi da trequartista. Da qualche mese si allena con la prima squadra, ogni tanto Cioffi lo sgrida: «In un primo momento sì, poi mi prende in disparte e mi corregge».
«Questo lo teniamo d’occhio»
Pafundi gioca sotto età da tutta la vita. Quest’anno si è distinto tra ragazzi di due anni più grandi, il giorno del provino per l’Udinese si è battuto a testa altissima contro dei 2004. A otto anni giocava a Monfalcone, si divertiva a dribblare tutti a testa bassa con il mancino. Il più basso, ma anche il più forte. Un giorno, a Rivignano, giocò contro proprio i bianconeri in un torneo. Prima un assist, poi una traversa che ancora fa rumore, quanto basta per convincere gli scout a cerchiare il suo nome in rosso. «Questo lo teniamo d’occhio». Dopo qualche mese a casa Pafundi squilla il telefono più volte. «Siamo l’Udinese». Il resto è storia di sacrifici e gol, quasi sempre sotto età: «Non mi è mai pesato essere il più piccolo». Nel 2015, a Levico Terme, vince il premio di miglior giocatore dopo aver fatto impazzire Juve e Inter.
Con Roberto Mancini
In Primavera Simone Pafundi si sente a casa, soprattutto perché suo fratello Andrea gioca insieme a lui. Due anni più grande, 2004, fa l’attaccante ma vede meno il campo (solo due presenze). «Condividere lo spogliatoio insieme a lui mi ha dato una mano per rendere al meglio». Mancini l’ha inserito tra i 54 talenti convocati per lo stage (con lui anche Nicolò Cambiaghi e Gaetano Oristanio). Lele Adani l’ha definito una sorta di “Messi italiano”. Andiamoci piano, ma il talento c’è