L’impressione comune, anche andando a riguardare alcune delle sue giocate più belle, è che Alexandre Pato sarebbe potuto diventare molto di più. Vincere molto di più. Parliamo di un attaccante davvero forte, ma che non ha espresso tutto il suo potenziale.
Lo racconta la sua carriera. Domande che si è posto anche il brasiliano, che oggi ha 32 anni, dovrebbe essere nel pieno della carriera e invece gioca all’Orlando City nel campionato americano. “Cosa è successo a Pato?” “Perché Pato non ha vinto il Pallone d’Oro?” “Perché Pato era sempre infortunato?”. Domande a cui ha finalmente risposto con una lettera a The Players Tribune.
La scelta del Milan
«Sarei potuto andare al Barcellona, all’Ajax, al Real Madrid. Perché il Milan? Beh, lasciate che vi faccia una domanda. Avete mai giocato con quel Milan alla PlayStation?» chiede l’attaccante. «Erano incredibili!!! Kaká, Seedorf, Pirlo, Maldini, Nesta, Gattuso, Shevchenko… Sheva era inarrestabile! Il Fenomeno, il VERO Ronaldo. Avrei potuto giocare con lui. Che formazione. Avevano appena vinto la Champions League. Il Milan in quei tempi era la squadra. Pensavo, Quando è il prossimo volo?».
Le aspettative su Pato
«Amavo le attenzioni – prosegue Pato a The Players Tribune -. Volevo che si parlasse di me. Ma sapete cosa è successo? Ho iniziato a sognare troppo. Anche se continuavo a lavorare duro, la mia fantasia mi portava in posti di tutti i tipi. Nella mia testa avevo già il Pallone d’Oro in mano. Non potevo evitarlo. È davvero difficile non lasciarsi travolgere. Avevo sofferto tanto per arrivare lì. Quindi perché non godersela?
Quando vinsi il Golden Boy che mi consacrava come miglior giovane d’Europa nel 2009, non pensavo al Pallone d’Oro. Quando vivevo nel presente ero inarrestabile. Ma la mia mente rimaneva incastrata nel futuro».
Gli infortuni che lo hanno tormentato
«Poi nel 2010 ho iniziato a essere infortunato tutto il tempo. Non avevo più fiducia nel mio corpo. Aveva paura di quello che la gente potesse dire di me. Andavo ad allenarmi pensando, Non posso infortunarmi. Se mi infortunavo non lo dicevo a nessuno. Una volta mentre stavo recuperando da un problema muscolare ebbi una distorsione alla caviglia e continuai a giocare. Era gonfia come un pallone ma non volevo lasciare la squadra. Uno dei miei difetti era che volevo accontentare tutti».
«La gente si aspettava che segnassi più di 30 gol a stagione, ma non potevo nemmeno entrare in campo. Potevo accettare che gli altri dubitassero di me. Ma quando il dubbio viene da dentro? È un’altra cosa».
«Mi sentivo così solo. All’Internacional sono sempre stato super protetto. Tutti facevano qualsiasi cosa per me. Non sapevo niente di infortuni, preparazione fisica o dieta — perché non ne avevo bisogno. Dovevo solo pensare a giocare. Quindi quando ero in difficoltà al Milan, non avevo idea di cosa fare».
«Oggi ogni giocatore ha un team che lo segue no?! Dottore, fisioterapista, preparatore. All’epoca solo Ronaldo ce lo aveva. Non avevo parenti vicino. La mia famiglia era ancora in Brasile. Avevo un agente, ma non si occupava di tutto come fanno gli agenti ora. Chiaramente il Milan aveva i medici e lo staff, ma dovevano seguire 25-30 giocatori. Non potevano stare con me tutto il tempo».
«Una volta ho giocato contro il Barcellona dopo aver visto un medico ad Atlanta. Ero stato in aereo per 10 ore e avevo fatto solamente un allenamento. Era normale che mi infortunassi! Nesta stava impazzendo: “Non avrebbe dovuto giocare, ma siete tutti matti?”».
«Non è andata così»
Tante cadute, ma altrettanti tentativi di rialzarsi. E secondo lui altrettante bugie dette sul suo conto, e lacrime. «Forse avrei dovuto raccontare prima cosa stava accadendo» è il riassunto di tante dichiarazioni dell’ex rossonero.
«Andavo a molte feste? Non tanto come vi hanno fatto credere».
Non avevo voglia? Lo dicevano per il mio modo di correre. Ma dai. Chi può saperlo veramente? Dio mi ha fatto così. Non posso cambiarlo.»
«Non sarò diventato il miglior giocatore del mondo – conclude -. Ma lasciate che vi dica un po’ di cose.
Ho uno splendido rapporto con la mia famiglia.
Sono in pace con me stesso.
Ho una moglie che amo.
Per come la vedo io, ho tanti Palloni d’Oro.
Se la vita è un gioco, ho vinto».