Coerente nel bene e nel male: chi è stato (in campo) Aleksandar Kolarov

by Francesco Pietrella
kolarov

Chiudete gli occhi e pensate ad Aleksandar Kolarov. La prima parola che vi viene in mente? Tosto, cattivo, coerente, anche ‘stronzo’. ‘Stronzo’ sì, calcisticamente parlando, quello che dice le cose come stanno anche se scomode, nomea che si porta dietro da almeno quindici anni. Se al posto di ‘stronzo’ mettiamo ‘coerente’, però, la storia cambia. 

«I veri uomini escono alla fine»

Esempio: novembre 2018, Kolarov gioca con la Roma e si palesa in sala stampa prima della sfida di Champions con il Real. È il periodo in cui i tifosi criticano la squadra. Un cronista gli chiede un parere e il serbo non si trattiene. Dice che i tifosi devono fare i tifosi perché di calcio non capiscono niente: «A me piace il tennis, ma non potrei mai arrabbiarmi con Djokovic». Il riassunto del Kolarov pensiero è nella chiosa: «Non stiamo passando un bel momento, ma i veri uomini escono alla fine».

Il guerriero Kolarov

Eccolo qui Aleksandar Kolarov, nel bene o nel male. Uomo vero del pallone, terzino di spinta con un sinistro alla Roberto Carlos. Una volta, con la Lazio, calciò a 120 chilometri l’ora; un’altra, ai tempi del City, nel derby contro lo United, perse un dente in uno scontro e giocò lo stesso: «Non so come sia successo, ma Kolarov ha perso un incisivo», disse Guardiola col sorriso. Willy Caballero postò una foto: «Uno dei miei guerrieri. Abbiamo vinto 2-1, qual è l’unica cosa che si è persa?». Il dente del serbo, incazzoso e incazzato, che a 36 anni ha detto basta con il pallone dopo due stagioni da comparsa all’Inter (15 presenze). Non da lui: «Oggi inizio la mia seconda vita, farò il direttore sportivo».

Allergico al fantacalcio

Chi lo conosce da vicino parla di un tipo simpatico e disponibile. Uno a cui danno fastidio poche cose. La prima è il fantacalcio. Kolarov non ci ha mai giocato, non conosce le regole ed è «allergico» a questo gioco. Per andargli sugli scatole basta dirgli «mi raccomando», in relazione alla prossima gara. «Che vuol dire ‘mi raccomando?’. È una minaccia? Ma dai…». Coerente. Così ligio al gioco del football da andare contro i suoi stessi tifosi. Nel 2010, con la Lazio, restò basito dalla famosa sfida contro l’Inter dell’Olimpico, quella dello striscione «oh nooo» dopo il gol dei nerazzurri. Quel giorno, per ‘gufare’ la Roma in lotta per lo scudetto, i biancocelesti tifarono lo Special One a casa loro. Kolarov andò contro tutti: «Non è più una passione, ma una malattia. Sono ancora sconcertato. Non avevo mai visto nulla di simile». 

Dalla guerra alla promessa

Serbo di Belgrado, da ragazzino ha visto la guerra da vicino. Si tappava le orecchie con le mani per non sentire il rumore delle esplosioni. Uno di quei giorni passati in cantina tirò la madre per la gonna e le fece una promessa: «Farò il calciatore e giocherò in Premier League». Nel 2010, dopo tre anni di Lazio ad alto livello, è riuscito a mantenerla: «Toccai il cielo con un dito». Come due anni dopo: Manchester campione d’Inghilterra grazie all’assist da terra di Balo e al tocco di Aguero all’ultimo minuto utile, a cui quel giorno i telecronisti di mezzo mondo aggiunsero una decina di ‘o’ per lasciar andare l’urlo. Kolarov sognava di diventare come Mihajlovic. «Giocavo con mio fratello in casa. Le bombe esplodevano facendo tremare i muri. Una volta, mentre correvo con gli amici, vidi un aereo in fiamme precipitare a terra. Avevo sei anni». 

Kolarov, campo pure con un piede rotto

Tre stagioni alla Lazio, sette al City, altri tre alla Roma, dove si è conquistato la fiducia della gente. «Conosco il mio passato, ma darò il 100% per i giallorossi». Resi felici con 19 gol, tra cui uno in un derby. Di Francesco ne ha sempre parlato bene, mentre De Rossi, una volta, disse che pur di non abbandonare la nave, Kolarov aveva giocato con un piede fratturato. Nel 2010 ha realizzato il sogno di giocare un Mondiale con la Serbia. Nel 2018 ha segnato al Costa Rica con la fascia di capitano. Con 94 presenze è il quarto giocatore con più partite dopo Ivanovic, Stankovic e Milosevic. Lascia uno dei calciatori più coerenti del nostro calcio, nel bene e nel male, anche se ha fatto quasi ‘piangere’ due ragazzini.

«Non potete stare qui!»

Estate 2009, ritiro di Auronzo di Cadore con la Lazio. Kolarov è già… Kolarov. Arriva da un paio di ottime stagioni e la gente lo cerca per gli autografi. Il serbo è riservato, dribbla i ‘selfie’, ma un paio di adolescenti si intrufolano nel parcheggio dell’hotel eludendo la sorveglianza. Uno dopo l’altro i giocatori passano tutti, e loro raccolgono autografi e foto come fossero trofei: Ledesma, Lichtsteiner, Zarate, Mauri, Kozak, Inzaghi, Matuzalem. A un certo punto si palesa anche Kolarov. I due si avvicinano timidi: «Alek, una foto». Lui li guarda, storce il naso e si fa serio, a brutto muso: «Non potete stare qui, andate via». I due se ne vanno senza firma, sconsolati, ma con una parolina a cui penseranno più volte vedendo giocare il serbo: «Personalità». Kolarov è rimasto lo stesso, e l’aneddoto è vero. Chi scrive era uno di quei due.