Una sciarpa nerazzurra, un sorriso a dentoni spianati, un’apparizione: il pomeriggio del 25 luglio 1997, sotto la sede di via Durini, migliaia di tifosi interisti vissero il più dolce dei sogni di mezza estate tradizionalmente legati al mercato. Il calciatore più forte del mondo era lì, ed era interista, un brasiliano già chiamato Fenomeno, che un mese prima aveva trascinato il Brasile alla vittoria della Coppa America: a Massimo Moratti era riuscita l’impresa mai realizzata da suo padre Angelo, che invano aveva tentato negli anni Sessanta di portare in nerazzurro Pelé.
Invece Ronaldo era qui, adesso. Il 25 luglio 1997 il Fenomeno atterrò alle 6 del mattino a Fiumicino, destinazione di un volo di 14 ore partito da Rio de Janeiro, e da lì s’imbarcò sul volo Alitalia AZ 2010 diretto a Milano. Era un volo di linea, lontano dai charter privati dei tempi moderni: “l’aereo è al completo, 133 passeggeri”, scrisse il Corriere della Sera, “nei venti minuti prima della partenza Ronaldo firma 41 autografi, in ordine gerarchico: prima il pilota, poi il personale di bordo, alla fine via libera ai passeggeri”. Jeans neri, camicia a quadri, stivaletti alla caviglia: insieme a lui la giovane e biondissima fidanzata Susana Werner e il procuratore brasiliano Alejandro Martins, subito raggiunto dalle controparti italiane Giovanni Branchini e Carlo Pallavicino. A casa di quest’ultimo, una splendida abitazione sul Lungarno, era stata firmata tre mesi prima una prima bozza d’accordo tra Ronaldo e l’Inter: a margine della semifinale di Coppa delle Coppe vinta 2-0 in casa della Fiorentina, il Fenomeno aveva lasciato il ritiro del Barcellona per promettersi ai nerazzurri, e un episodio sospeso tra realtà e leggenda racconta che, all’uscita a notte fonda da casa Pallavicino per tornare in hotel, Ronaldo sarebbe stato riconosciuto da due lavoratrici della notte sue connazionali…
Ma torniamo al 25 luglio 1997. Alle 8 del mattino Ronaldo sbarca a Linate e beffa tutti con il primo di una lunga serie di dribbling, sbucando da un’uscita posteriore dove ad attenderlo c’è un solo giornalista, più furbo o meglio informato degli altri. È Marco Francioso di Mediaset, che ha anche l’onore di strappargli le prime battute di circostanza da calciatore dell’Inter. Poi Ronaldo viene preso in consegna da Luis Suarez e Sandro Mazzola, due simboli della Grande Inter di Angelo Moratti e allora dirigenti dell’Inter di Massimo. Prima tappa: Hotel Principe di Savoia, Piazza della Repubblica, dove Ronaldo e “Ronaldinha” scaricano le sei valigie che si sono portati dal Brasile in una magnifica suite che era stata già occupata, nei mesi precedenti, da Madonna e Michael Jackson. Seconda tappa: via Bigli 11, residenza di Massimo Moratti, a due passi da via Montenapoleone. Il Presidente lo aspetta. In suo onore ha fatto preparare un tris di primi a tema tricolore: gnocchi al pesto, gnocchi ai formaggi, gnocchi al pomodoro. È evidente l’allusione a qualcosa che non ha ancora mai vinto, e che dalla bacheca interista manca dal 1989.
Smaltito il pranzo, Ronaldo viene condotto nella sede di via Durini: Moratti lascia la scena a Mazzola e Suarez, maestri cerimonieri nella conferenza stampa ospitata nella sala dei trofei, dove si assiepano le decine di fotografi e giornalisti della carta stampata (i giornalisti tv vengono collocati in una saletta adiacente). Viene anche organizzata una rudimentale diretta video sul sito Internet del club, presto in tilt per eccesso di contatti. Ronaldo spiega di non vedere l’ora di ritrovare nel derby Fabio Capello, che nella stagione precedente gli aveva soffiato il campionato con il Real Madrid; dice di aver scelto la numero 10 e aver lasciato volentieri la maglia 9 al cileno Ivan Zamorano, particolarmente affezionato al numero (ma l’anno dopo glielo dovrà cedere, ripiegando sul celebre 1+8). Intanto un migliaio di tifosi si è radunato sotto la sede: la folla arriva fino a Piazza San Babila e disturba la quiete pomeridiana dell’altolocato quartiere. Il popolo interista vuole vedere il nuovo gioiello, se non proprio toccarlo, stringerlo, abbracciarlo. In attesa della presentazione ufficiale, prevista per la sera del 27 luglio a San Siro (la Pirelli Cup, un’amichevole contro il Manchester United, con show prepartita di Aldo Giovanni e Giacomo), sarebbe gentile concedere loro almeno un’anticipazione: così il capo ufficio stampa Sandro Sabatini ha l’idea di bussare a uno studio notarile del quartiere, chiedendo in prestito una finestra con balcone per dieci minuti alla segretaria. Dopo un dedalo di corridoi e uscite posteriori, lì sopra compare Ronaldo, intorno alle 16, con una sciarpa e una maglietta lanciata qualche metro più in basso, e chissà chi l’ha presa…
Nelle prime 24 ore milanesi si intravede già quello che sarà lo stile che renderà immediatamente Ronaldo il calciatore più amato e popolare del campionato. Semplice in modo disarmante, genuino, sorridente, disponibile, senza mai scivolare in gesti di fastidio o insofferenza per gli effetti collaterali della sua enorme popolarità. Così dopo la presentazione in sede Ronaldo viene caricato su un van e di lì trasportato alla Pinetina, per incontrare i nuovi compagni e magari svolgere anche una prima salutare sgambata dopo 15 ore di viaggio. E lì altre migliaia di tifosi, altre foto, altri autografi, altra ressa. Due sere dopo, a San Siro, metterà piede in campo per 17 minuti prima di essere sostituito da Zamorano e poi travolto da centinaia di bambini in maglia nerazzurra. Il primo gol in amichevole a Pisa, il primo gol ufficiale a Bologna. È l’inizio di una stagione memorabile: lo scudetto non arriverà – e il modo ancora offende tutti i tifosi interisti – ma una Coppa UEFA sì, e i dribbling e le magie del Ronaldo 1997-98 verrà ricordato per sempre da tutti gli appassionati di calcio.