Gli italiani non avevano mai segnato (e giocato) così poco nella storia della Serie A

by Giuseppe Pastore
italiani serie a

È una delle statistiche più tristi che siano mai capitate alla Serie A negli ultimi anni: all’interno di un turno di campionato estremamente povero, con ben quattro 0-0 e appena due gol in trasferta, di tutti gli attaccanti italiani Domenico Berardi è stato l’unico a segnare in 10 partite e 900 minuti (più recupero). Un gol anche molto bello, un sinistro al volo che ha deciso Sassuolo-Lecce; ma uno solo, mentre tanti altri suoi connazionali – da Tonali a Immobile, da El Shaarawy a Petagna – al gol ci si sono solo avvicinati. È una condizione che colpisce anche gli altri attaccanti italiani in giro per l’Europa: Scamacca è ancora a secco in Premier League con il West Ham; Lucca ha segnato sì con l’Ajax, ma era la seconda squadra che milita in seconda divisione; Belotti è a un passo dalla Roma, ma s’è guardato dal divano le prime due giornate di campionato. L’assenza di ricambi per i vari Immobile, Caputo e Quagliarella, inossidabili ma pur sempre ultratrentenni, è ancora più dolorosa: Berardi a parte, in attesa del Gallo, il capocannoniere italiano under 30 è El Shaarawy (57 gol), che 30 anni li compirà a ottobre.

La crisi degli attaccanti italiani

Prendiamo a prestito la campagna elettorale per una metafora: nell’ultimo turno di Serie A l’Italia ha pesato per appena il 7,7% dei gol totali, la metà dell’Argentina e della Georgia di Kvaratskhelia. Nella storia della serie A mai si era scesi sotto il 10%, avvicinato il 6-7-8 novembre 2020, quando gli unici a segnare erano stati Tommaso Pobega (Benevento-Spezia 0-3) e il futuro italiano Joao Pedro (Cagliari-Sampdoria 2-0): 2 gol su 18. Stessa percentuale del 24-25-26 novembre 2018, quando gli unici nostri portabandiera erano stati Antonino La Gumina (Empoli-Atalanta 3-2) e Fabio Quagliarella (Genoa-Sampdoria 1-1). Ancora più clamoroso il 2 su 10 del 18 giugno 1989, penultima giornata di una Serie A in cui al massimo si potevano schierare tre stranieri per volta: tra un Van Basten e uno Skoro (lo ricordate?), gli unici azzurri in rete furono Alberico Evani (Milan-Ascoli 5-1) e Massimo Agostini (Cesena-Como 1-0).

La carestia di gol italiani – anche nella prima giornata erano stati 8 su 34 (23,5%), alcuni dei quali non esattamente degli habitué come Cristante, Mandragora o Bianchettiprocede di pari passo con la progressiva diminuzione dei titolari italiani. Nelle prime due giornate di questo campionato, su 440 titolari, solo 149 erano italiani (33,9%), ultimo valore di un grafico in continua discesa, come si vede qua sopra. C’entra l’apertura all’estero di un mercato solitamente poco incline all’esportazione come quello italiano (vedi Lucca e Scamacca, ma per esempio anche Gnonto), c’entra la crisi strutturale degli attaccanti (vedi Italia-Macedonia…), c’entra soprattutto il Decreto Crescita che ha offerto a tutte le squadre di Serie A un trattamento fiscale agevolato per i calciatori provenienti dall’estero: solo a maggio il Decreto è stato riformato, limitando gli sgravi fiscali agli ingaggi sopra il milione di euro e ai calciatori di almeno 20 anni, con effetti che potranno essere valutati solo tra qualche mese. Nel frattempo – altro dato statistico tristissimo – nessun italiano è a quota 2 in classifica marcatori dopo due giornate: non succedeva da 31 anni, dal campionato 1991-92 quando il primo azzurro a battere il secondo colpo fu il centravanti della Nazionale (e campione d’Italia in carica) Gianluca Vialli. A proposito: delle prime quattro classificate della scorsa stagione, nessuna ha ancora schierato titolare un giocatore italiano con qualità vagamente offensive.