Cristiano Piccini risponde al telefono col sorriso. Non lo possiamo vedere, ma si capisce dalla voce. È sereno, sta guidando verso Berlino per andare a prendere la famiglia all’aeroporto. Più che sereno: «Sono molto felice, mi hanno dato un’opportunità, ho trovato un allenatore che è una persona eccezionale. Ho debuttato dopo una settimana e ho pure fatto gol». Il nuovo club di cui parla è il Magdeburgo, città dal nome che sa di castelli e cavalieri nella parte centro-orientale della Germania, in Zweite Bundesliga, la seconda serie tedesca. «L’obiettivo principale è salvarci, ma in realtà giochiamo bene a calcio, creiamo spazi e mi sto divertendo come non mi succedeva da tempo. Secondo me se troviamo solidità possiamo vincere molto».
La storia di Cristiano Piccini
Ma facciamo un passo indietro. Già, perché parliamo di un ragazzo di 30 anni, uno che dovrebbe essere al picco della propria carriera e invece è stato costretto dagli infortuni a scommettere su se stesso e ripartire da capo diverse volte. «Ho firmato con l’obiettivo di rilanciarmi. So che ho qualità tecniche e fisiche, ho esperienza, ho giocato in Europa. Avrò sempre il rammarico di vedere dove sarei potuto arrivare, ma se sto bene posso tornare ad alto livello. Il mio obiettivo è anche questo, e intanto mi godo il calcio giorno per giorno». C’è stato un periodo, quando era al Valencia, in cui per via della clausola rescissoria da 80 milioni era stato etichettato come il terzino italiano più costoso al mondo. Sulla fascia destra era un concentrato di potenza, osservato con attenzione pure dalla Nazionale. Giocando all’estero, in Italia non era così famoso, invece lui si divertiva a fermare Messi e Ronaldo ne LaLiga. «Due infortuni gravi, sempre in momenti importanti, hanno rovinato tutto. Il primo al crociato, quando giocavo nel Betis e avevo diverse società che chiedevano di me. Sono stato fuori sei mesi, ma senza complicazioni e tutto è andato bene. La frattura alla rotula, invece, è arrivata nell’agosto del 2019 quando stavo vivendo il mio momento migliore. Avevo 26 anni, mi ero affermato al Valencia e avevamo vinto la Coppa del Re: ho riniziato a giocare che in pratica ne avevo 29».
Este gol de Piccini fue un golpe de moral y el punto de inflexión en aquella maravillosa temporada que fuimos campeones de la Copa del Rey. Gracias @crispiccini 🦇 pic.twitter.com/s7eDIwKQ92
— Adrián Anaya García (@AdriAnayaGarcia) January 13, 2022
Corvino e Jorge Jesus
Fiorentino di nascita, Piccini è uscito proprio dal vivaio della sua città, a cui è sempre stato affezionato. Un sogno. La memoria va subito a quella chiacchierata con Corvino, allora alla Fiorentina, che ha cambiato tutto: «Eravamo in ritiro, per me era il secondo anno di Primavera ed ero visto bene da tutti. Dalla società e dall’allenatore, ma in prima squadra le fasce erano già occupate. In Primavera con me c’era anche Ryder Matos, ma lui giocava a sinistra. Un giorno Corvino mi ha avvicinato e mi ha chiesto se fossi stato disposto a fare il terzino. Ovviamente ho risposto che avrei fatto di tutto pur di giocare, così ho debuttato in Serie A con la Fiorentina». Era il 5 dicembre 2010, vittoria per 1-0 sul Cagliari. Quasi a metà di una stagione non fortunata, la prima dopo il grande ciclo di Prandelli che aveva lasciato il posto in panchina a Mihajlovic. «Ma di singoli meglio se non parlo – chiarisce – quando ho raccontato cos’era successo all’Atalanta è venuto fuori un casino». Con la Primavera viola, invece, le cose sono andate meglio, al punto che vincerà la Coppa Italia di categoria segnando in finale, all’Olimpico, contro la Roma di un certo Gianluca Caprari, che poi ha ritrovato a Coverciano in Nazionale e che adesso gioca nel Monza
Dopo i prestiti in Toscana alla Carrarese e al Livorno, la chiamata del Betis fa sì che Piccini si affermi all’estero, tornando in Italia solo nel 2020 per un’esperienza all’Atalanta che non ha soddisfatto nessuno. «Andare in Spagna non è stato semplice. Ero legato a Firenze, ma quando ci sono certe opportunità vanno colte. Stare fuori è un percorso di vita che ti fa crescere, a me ha permesso di fare esperienze importanti, di giocare in Europa, e di acculturarmi. Adesso parlo quattro lingue e spero di aggiungere il tedesco». Prima arriva il Betis (2014-2017), poi il Valencia (2018), nel mezzo una stagione allo Sporting Lisbona, quella 2017-18: «Un periodo incredibile, Jorge Jesus in panchina mi ha dato molto e ha avuto fiducia in me. Io l’ho ricompensato. Poi è nata mia figlia e a fine campionato è arrivata la chiamata del Valencia, la vittoria della Coppa del Re, la Champions e il matrimonio. A fine agosto 2019 la tragedia: l’infortunio alla rotula».
Stella Rossa e realtà virtuale
Ma com’è arrivato Piccini in seconda serie tedesca? Tutto parte dalla rottura con la Stella Rossa di Stankovic, dove si era trasferito lo scorso gennaio. «Avevo ancora due anni di contratto, ma la verità è che non mi sono mai adattato. Il livello non è alto, però è complicato a livello di testa, di ideologia, di infrastrutture. Giochi in stadi che non sono stadi. C’erano i preliminari di Champions, ma non ero convinto e ho rotto. Non ho voluto soldi né niente. L’hanno fatta passare come se io non fossi al giusto livello di forma: non era vero. Sono stato anche pre convocato due volte in Nazionale. La verità è che ho lavorato tantissimo per riprendere in mano la mia carriera e sto giocando per dimostrare che sto bene. Alla Stella Rossa non ero felice, non mi godevo il calcio e insieme ai miei cari abbiamo deciso di lasciare. Senza contratto credevo di avere più mercato».
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«Penso sempre che da qualsiasi situazione, nella vita, possa nascere qualcosa di migliore e più importante». Così nel periodo dell’infortunio alla rotula si è dedicato a un progetto «totalmente mio». Si chiama Rine, «un metaverso in realtà virtuale che permette alle aziende di avere un proprio spazio virtuale immersivo dove ‘teletrasportare’ il cliente. L’idea è arrivata almeno un anno e mezzo prima che Facebook spostasse l’attenzione sul metaverso, a tre settimane dall’operazione. In realtà il mio metaverso ha tutte le carte in regola per diventare un social media visto che all’interno della piattaforma ognuno può creare il suo avatar e connettersi con altre persone. Non sono mai stato un nerd, però avevo tante idee che abbracciavano la tecnologia e questa l’ho voluta approfondire. Adesso sì, sono un intenditore».