Lo chiamavano «’o miez chilo». Due gambette secche e un paio di occhioni svegli, attenti: «Se ne andava in giro per il quartiere a consegnare buste della spesa». Tre-quattro volte a settimana, di pomeriggio, casa per casa, prima di allenarsi in un campetto di terra: «Nei secondi tempi calava d’intensità. Sembrava stanco, affaticato, come se portasse un peso sulle spalle. Una, due, tre partite di fila, quindi andai dal mio segretario, Nicola Sannino, e gli chiesi di indagare un po’». Così il fido scudiero dell’allenatore si incammina per le vie di Barra, quartiere periferico di Napoli, come una sorta di Hercule Poirot a caccia dell’assassino, salvo poi tornare dal mister con un caso chiuso. «Ho scoperto il perché dei cali di Pasquale». «Beh, allora? Si è cacciato in qualche guaio?». «No, macché, aiuta il fruttivendolo con la spesa».
Perseveranza e promesse
La storia di Pasquale Mazzocchi, 27 anni,inizia così. Da ala a terzino rivelazione della Salernitana; dai campionati di Serie D con Rimini e Parma alla Nazionale di Mancini. «Perseveranza, solo questo. Prima che partisse per il ritiro abbiamo pranzato insieme. Gli ho detto ‘dai, festeggiamo, mangiamoci una bella carbonara’. Lui niente, petto di polo e riso in bianco». Chi parla è Giuseppe Araimo, il primo allenatore di Pasquale al Carioca, una sorta di secondo padre che lo accompagna fin dai tempi del primo soprannome, ‘o miez chilo’. «Quando scoprii che consegnava la spesa per rimediare qualche soldo stipulammo un accordo. Gli avrei dato la stessa cifra a ogni gol segnato, a patto che smettesse di lavorare. A 12 anni non si può. E poi Pasquale era uno ‘scugniziello’ piccolo e magro. ‘Dove vai con quelle buste – gli dicevo – pesano più di te’».
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«Il ‘fenomenino’ con la maglia larga»
Giuseppe ha 66 anni e lavora nel calcio da una vita. Allenatore, responsabile del settore giovanile, talent scout. In carriera ne ha scoperti vari, da Antonio Floro Flores a Camillo Ciano, ma quando parla di Pasquale è un’altra cosa. È più forte di lui: «La prima volta che l’ho visto avrà avuto 8 anni. Indossava una maglietta di due taglie più grandi che gli arrivava quasi alle ginocchia. Poi iniziò a palleggiare e vabbè, cosa posso dire? Un ‘fenomenino’. Arrivava al campo mezz’ora prima con un borsone gigante sulle spalle. Nonostante fosse un ’95 lo facevo allenare con i ragazzi del ’93, due anni più grandi». Scelta ponderata: «Alzavo il livello per testare le sue qualità». Sempre da ala. «All’inizio giocava lì. Bellaria, Pro Piacenza, Rimini, fino a Parma. Il primo a parlargli dell’idea di scalare terzino è stato Roberto D’Aversa. Pasquale mi chiamò per un consiglio».
Il rapporto con Araimo
I due hanno un rapporto così stretto che Giuseppe usa sempre il ‘noi’. «Noi siamo arrivati in Nazionale, noi giochiamo in Serie A, noi siamo figli della gavetta». Una cosa sola: «Pasquale non ha mai mollato. Chi arriva dal nulla e ha avuto poco dalla vita, sviluppa una perseveranza non comune, unica». Quella che ha portato un dodicenne a seguire il suo mister quasi ovunque: «Nel 2007 passai alla Scuola Calcio Mazzeo e lui mi venne con me. L’ho allenato dagli Esordienti agli Allievi. Spesso, per formare il carattere dei ragazzi, preferivo giocare contro squadre molto più forti. Perdevamo 10-0 e tutti mi dicevano ‘mister, che giochiamo a fare contro questi?’. Lo facevo per loro. Due mesi dopo il gap si era ridotto».
I provini in giro per l’Italia
Mazzocchi corre, dribbla e segna più di tutti, così Giuseppe gli organizza alcuni provini in giro per l’Italia: «Ai tempi facevo l’osservatore per il Padova. Raduno una quindicina di ragazzi del ’93 e parto per un’amichevole all’Euganeo. Nonostante avesse un paio di anni in meno degli altri, porto anche Pasquale. In fondo era bravo. A fine partita mi si avvicina Giorgio Molon, ex responsabile del settore giovanile del Padova, svelandomi che Mazzocchi l’ha stregato. ‘Peccato sia così gracile, però’. Pensava fosse un ’93, così prendo o la distinta e gli faccio notare che in realtà è il più piccolo. Non ci credeva».
Quel ‘no’ di Bruno Conti
Il secondo provino è con la Roma: «Solito discorso. Bruno Conti mi dice ‘sì, questo ragazzo è bravo, veloce, tecnico, ma fisicamente è ancora troppo piccolo’. Altra porta chiusa». Fino al Verona, estate 2012, il primo sì a 16 anni dopo una sfilza di delusioni: «Pasquale non ha mai pensato di lasciare il calcio, e se l’avesse fatto gli avrei dato un paio di schiaffoni. Non glielo avrei mai permesso. Ora ha un preparatore che lo segue tutti i giorni e un bravo agente, Luigi Lauro, uno che lo segue da quando era il più piccolo». Come Giuseppe del resto: «Il più bel regalo che mi ha fatto è stato una maglietta con scritto ‘al mio secondo padre’. Ora siamo in Nazionale». Di nuovo il “noi”. Vuol dire insieme. Il mister e lo ‘scugniziello’.