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Guglielmo Vicario
Voglio andare a giocare. Sono disposto anche a partire dalla Serie D. Sono arrivato a Udine dopo i primi anni in parrocchia e qualche stagione nell’academy del Donatello. Qui all’Udinese ci sono Scuffet, Meret e Perisan, io sento che la domenica devo andare in campo. Ho chiesto se ci fosse l’opportunità di partire in prestito, la società era restia ma poi si è convinta. Ho scelto Fontanafredda, un paese a 70 km da casa, appena promosso dall’Eccellenza. Devo frequentare il 5° anno delle superiori e sarà un impegno gravoso. Un altro mondo, una sfida per tutti. Sono carico.
Oggi ho sventato una rapina. Insieme ad altri tre miei compagni, prendiamo sempre il treno per andare a Fontanafredda. A volte facciamo le macchinate, ma di base quella stazione con due soli binari è casa nostra. io, Nicola, Alessandro e Luca. Ci alleniamo alle 18 e prendiamo il regionale delle 20:30. Stasera abbiamo sentito delle urla provenire dall’altro binario, e poco dopo un signore è riemerso dalle rotaie affannando. Gli siamo corsi incontro e urlava: «Mi hanno derubato! Un uomo mi ha scippato il borsello». Ci siamo mobilitati e abbiamo individuato un uomo che stava scappando: abbiamo iniziato a rincorrerlo e lo abbiamo quasi raggiunto. A quel punto, il ladro ha lanciato il borsello e ha continuato a correre. Noi lo abbiamo raccolto, riportandolo al signore. Dopo poco sono arrivati i Carabinieri e hanno fermato anche il nostro treno per permetterci di completare la denuncia.
Fontanafredda non me la dimenticherò mai! Ci siamo salvati e la sfida è stata vinta da tutti. Mia mamma era impaurita: «Oddio, devi studiare, vai fino a Fontanafredda?». Me la sono cavata egregiamente anche a scuola, dai. Volevo mettermi in gioco senza pensare a quello che sarebbe potuto essere. La mia vocazione è quella di mettermi in discussione. Appena sono arrivato, mi hanno soprannominato «Il Principe». Dicono che sono viziato… effettivamente ho sempre avuto insegnamenti positivi e affetto dai miei genitori, da figlio unico. Penso di aver beneficiato di questo. E poi un altro protagonista è stato il mio ciuffo: abbondante, capelli lunghi come piacciono a me. Ogni mattina me lo sistemo con il phon e con la lacca. Mattia, l’altro portiere, e il preparatore, dicono che dopo ogni parata mi viene automatico sistemarlo. In effetti è vero…
Vi rendete conto, ho giocato nel Venezia. Siamo ripartiti dalla Serie D, ma la nostra è stata una Serie D fake. La maggior parte ha giocato nei professionisti. Con il Fontanafredda ero stato nel primo vero stadio della mia carriera: l’Euganeo, contro il Padova. Abbiamo avuto tanti tifosi dalla nostra parte, un ambiente dalle dimensioni diverse. Ho fatto il titolare e siamo andati in C, conquistando la promozione contro l’Union Ripa La Fenadora, squadra di un paesino di montagna in provincia di Belluno. Le foto con i nostri tifosi in mezzo ai monti sono poesia.
Per la prima volta in Serie C. Non sono titolare, anzi sono piuttosto esile e non ho il fisico sviluppato. Sento tanto la differenza con gli altri, anche nel ritmo di allenamento. Devo ancora costruirmi. Mi ha fatto bene vedere portieri più evoluti e calciatori veri, rubando gli ingredienti per il futuro. Sento di dover crescere per poter competere a un livello superiore. Le mie soddisfazioni me le sono tolte: abbiamo dato 10 punti al Parma e abbiamo vinto la Coppa Italia di Lega Pro, dove ho giocato tutte le partite, compreso il derby in semifinale contro il Padova.
Siamo stati subito promossi in Serie B, ma ero preoccupato. Avevo giocato poco, non mi sentivo pronto. Mi sono detto: «Cerco un’opportunità in una serie minore, come ho fatto con il Fontanafredda». Ma niente: non mi voleva nessuno. Io spingevo per andare a giocare, però più il tempo passava, e più mi rendevo conto che non c’era la possibilità di farlo. C’è stata solo una mezza cosa con il Südtirol. Mi sentivo ingabbiato. Sono andato a parlare con il direttore Perinetti e con mister Inzaghi: «Guglielmo, accetta il consiglio: la scelta migliore che puoi fare è restare con noi e lavorare in una categoria superiore». Avevo capito che il terreno per andare via non era fertile e quindi rimasi.
Arrivò Audero e lui era il titolare. Io, semplicemente, ero il terzo, dietro anche a Russo. Ma era ancora la B a 22 squadre, le opportunità non mancavano, soprattutto quando Emil veniva convocato dalla Nazionale under-21. La prima volta, il mister fece giocare Russo, ma a 20’ dalla fine si fece male. Giocavamo contro il Cesena, entrai a freddo e tenemmo lo 0-0. Ma il Venezia, al suo posto, prese Piergraziano Gori. Quindi ero nuovamente il terzo, al massimo il secondo del secondo quando Audero andava in Nazionale. Ma alla sosta successiva, Inzaghi scelse me. Andò tutto bene anche le volte dopo, quindi divenni una sorta di talismano. Giocava Vicario e il Venezia vinceva. Mi sono fatto apprezzare e sono cresciuto in consapevolezza. Lo percepivo. Ho chiuso il campionato con 7 presenze: «Ho dimostrato che in B ci posso stare. Ora mi manca solo la continuità».
Quest’anno, il secondo in B, è stato il primo da titolare, ho sentito concretamente la fiducia di Zenga e l’ho messa in campo. Mi ha appena contattato il Cagliari, ma ho tante proposte dalla B. Che faccio?
Alla fine ho scelto il Cagliari, che prima mi ha girato in prestito al Perugia. Perché ho scelto il Cagliari? Perché la mia storia parla di scalare, adattarsi e competere. Sono andato in Serie D, mi sono affermato come titolare dimostrando di poter fare il salto di categoria. L’ho osservata, ho fatto panchina e poi ho giocato togliendomi delle soddisfazioni. Quando si sono aperte le porte della Serie B, dapprima sono partito nelle retrovie, e rubando con gli occhi mi sono conquistato la maglia numero uno. Dopo Venezia era il momento di fare il salto. Prima sono andato in prestito al Perugia, adesso eccomi qui: in Serie A. Sono la riserva di Cragno ma il mio spazio lo sto avendo. Una sfida: riadattarmi nuovamente e stabilizzarmi. Chi se lo scorda l’esordio a Milano contro l’Inter… contro il mio idolo e modello Samir Handanovič.
Al Cagliari c’è un gruppo forte, anche se la salvezza è in bilico. Gioco poco, ma la mia più grande qualità esce in settimana, quando dobbiamo ricompattarci per preparare subito la partita successiva. Qui tutti vogliono giocare e caratterialmente apprendi anche solo ascoltando.
Secondo me un calciatore che fa la Serie C e poi va in Serie A, ha dimostrato di essersi evoluto tecnicamente. Quando tocchi con mano, percepisci tante piccole dinamiche che ti mostrano una categoria davvero superiore. Il mio percorso ci dice che nel calcio italiano la meritocrazia esiste ancora: penso piuttosto che in Italia serva un cambiamento dal punto di vista della cultura calcistica. Siamo indietro nell’evoluzione dell’atleta, siamo visti come giocatori e non come atleti. Il calciatore di oggi deve specializzarsi sempre di più, diventare un atleta nel vero senso della parola. Quando ti confronti con altri paesi, lo vedi che sono più tonici e tosti perché la cultura di allenamento è diversa. Questo è un gap che dobbiamo colmare. Anche perché non penso che in Italia manchi il bagaglio tecnico.
Mamma mia che emozione stasera. Abbiamo battuto la Juventus in trasferta! Vittoria per 0-1, ma soprattutto il dialogo con Szczęsny. La scorsa settimana, contro la Lazio, ne avevo combinata una più del diavolo. E anche lui, contro l’Udinese, aveva fatto un errore con i piedi che era costato caro. Prima della partita è venuto da me: «Bella settimana abbiamo avuto io e te…», e rideva. Ha continuato: «Speriamo in uno 0-0, almeno ci rifacciamo con un clean sheet e siamo contenti». Gli ho risposto: «Ahah magari 0-0». Alla fine abbiamo vinto.
L’incontro con Szczęsny è stato uno dei tanti. Nella casa dei miei genitori, a Udine, ho diversi quadri con dentro le maglie dei portieri: Maignan, Handanovič… che era il mio modello fin da piccolo. La prima maglia scambiata è stata proprio con lui. Esordio in A contro il mio idolo. In campo mi piace osservare e celebrare i miei colleghi: quando fanno una bella parata, istintivamente faccio l’applauso. Quando inizia una partita, entro in una mia dimensione. Mi percepisco come un animale da competizione. La parata più bella è sempre quella che devi fare, cullarsi porta a rilassarsi.
Il primo giorno in cui sono entrato nello spogliatoio dell’Empoli mi è sembrato il paradiso. C’era un’atmosfera particolare e ho capito che questo era il posto giusto per svoltare. Ci sono le carte in regola per diventare titolare in Serie A. Credo di aver appena affrontato lo step più grande: ho giocato in tutte le categorie e, al di là del gap tecnico, la rapidità d’esecuzione è il fattore che più ho accusato. Tutte le volte che ho cambiato categoria, non è mai stato così difficile come stavolta. Incontri giocatori di livello internazionale, noi siamo un gruppo sano che vuole sporcarsi la maglia, e penso che i risultati che stiamo raggiungendo siano gratificanti per tutti.
Dopo che è scoppiata la guerra in Ucraina, per i miei genitori si è presentata l’opportunità di accogliere una famiglia che scappava dal conflitto. Mi hanno chiesto cosa ne pensassi e ho approvato con piacere la notizia. Loro vivono da noi, e anche per le feste stiamo stati insieme. Milan e la sua famiglia sono un plus importante per noi, ci hanno anche rafforzati. Nella vita ci sono aspetti che dai per scontati, ma farli entrare nelle nostre vite è stato quanto di più bello potesse accadere.
Mi mancano le cene al Fontanafredda. La Serie A è un sogno, ma se c’è una cosa che mi vorrei portare a questi livelli, è la spensieratezza della cena di squadra del venerdì sera. Ogni volta, dopo l’allenamento, dato che poi si giocava di domenica. Quell’aggregazione fatta in modo genuino e spontaneo, con la voglia di condividere e raccontare, parlare di calcio e di vita, delle proprie passioni, senza l’obbligo di essere giudicati o essere visti dall’estero. Mi manca questa genuinità. In Serie D c’è il dilettantismo: chi lavora, chi va a scuola. I miei compagni che lavoravano e venivano ad allenarsi di sera, per me erano degli eroi. Mi sento ancora con loro: Mattia, il capitano Malerba… In Friuli fa freddo, il clima non è ideale, e a gennaio vi assicuro che è tosta, specialmente sapendo che a casa hai una famiglia. Il treno, lo studio in treno, il lunedì mattina a scuola: ora faccio questo di mestiere e sono comfort. Ma non è sempre stato così.
Mi hanno convocato per la prima volta in Nazionale. Sono entrato a Coverciano e mi sono diretto al bar. Ho incontrato Pasquale Mazzocchi: eravamo insieme in quella tremenda annata a Perugia, dove retrocedemmo e facemmo male. Anche lui è partito dalla Serie D. Ci siamo presi un caffè riguardando il nostro film, facendo un paragone tra i nostri percorsi. Vederci qui, con questa tuta, mi fa un effetto forte. Vibrazioni positive. Si è chiuso un cerchio.