«Nella mia carriera sono sempre andato come un treno, oltre i miei limiti. Ora devo gestirmi, devo ascoltare di più il mio corpo, perché voglio giocare ancora tanto». Lorenzo De Silvestri, difensore del Bologna, ha 34 anni, ma ancora tanta voglia di essere decisivo. Su questo non c’è nessun dubbio. Invece sul futuro fuori dal campo, come ha raccontato nell’intervista sul canale Twitch di Cronache di Spogliatoio, le riflessioni sono ancora in corso: «Ho preso il patentino UEFA B, al momento però mi vedo più dirigente che allenatore».
Lorenzo De Silvestri a 360 gradi
Un ragionamento che è la naturale prosecuzioni di un percorso portato a termine con grande soddisfazione, nonostante gli impegni con i vari club: la laurea in Economia Aziendale e una tesi sul marketing in ambito calcistico. «Più difficile laurearsi o giocare in Serie A? Era un’università paritaria, non avevo l’obbligo di presenza. Invece in campo devo presentarmi sempre. Diritto privato è stato un delirio. Adesso farò un altro master, mi piace mettermi alla prova e vedere cosa c’è dietro il calcio. Voglio farmi trovare pronto per il futuro».
«La mia storia – ammette – va controcorrente rispetto ai miei colleghi. Mio padre mi ha fatto fare diversi sport, come ginnastica, scii di fondo e atletica. Io sognavo il calcio, quindi a ricreazione giocavo sempre con i compagni di classe. Fino a 11 anni non ho mai fatto scuola calcio, poi ho iniziato a farla parallelamente alla ginnastica. Fare tutti questi sport mi ha aiutato tanto sul piano fisico e mentale, perché richiedono tanti sacrifici».
Un’altra passione, è quella per l’arte: «Una cosa che consiglio ai giovani: essere curiosi. La passione per l’arte mi ha permesso di switchare il cervello, di andare a mostre e fiere. Da piccolo tendi a rifiutarla, ma è nata una grande passione. Pollock è il mio artista dei sogni. È una passione che mi fa uscire dalla classica vita da atleta».
Olimpiadi e viaggi
Nel 2008 viene anche convocato per le Olimpiadi in Cina. «La prima cosa che mi viene in mente – dice oggi – è la mensa del villaggio olimpico: era l’essenza dello sport. Vedevi fisici diversi da mille discipline diverse. Ho visto Nadal, Gasol, grandi campioni. L’amore che ho visto per lo sport che ho visto in quella mensa lì non l’ho vista da nessun’altra parte. Ho visto persone che lavorano 4 anni per mezzo centesimo. Mi ha aperto gli occhi: è stata un’emozione incredibile vivere quella manifestazione».
Gli altri viaggi che gli sono rimasti impressi sono «La Route 66, da Chigago a Miami in macchina. 3 fusi orari, 9 stati. Se mi dicessero: ‘Partiamo domani?’, direi subito di sì. Un altro posto che ho amato è il Giappone, la sua cultura, così diversa dalla nostra, mi piace. Ho fatto un Safari e sono stato Cape Town, vedere gli animali nel loro habitat naturale è stato emozionante. Vorrei andare in Australia, ma non so se ho abbastanza tempo».
Di Canio, Mihajlovic e Pepito Rossi
Infine, spazio ai ricordi. Il primo, per Sinisa Mihajlovic, in questi anni suo tecnico al Bologna: «Parlarne al passato mi viene difficile. È una di quelle figure enormi che restano anche dopo la morte. È stato un padre calcistico, è l’allenatore che ho avuto per più tempo in carriera. L’ho amato e venerato, ma l’ho anche odiato. È stato un rapporto vero, che ha avuto mille sfaccettature. Ho conosciuto la sua famiglia, li sento ancora. Il nostro rapporto è andato anche oltre il calcio. Sono stati anni pieni di emozioni con lui. Avrà sempre un posto speciale nel mio cuore».
Nato a Roma, con De Silvestri c’è stato modo di parlare anche degli anni in prima squadra con la Lazio. In particolare del suo primo ritiro, a 17 anni, e dell’accoglienza di una bandiera come Paolo Di Canio. «Avevo i capelli alla pariolina, un po’ alla Beatles, ne andavo molto fiero – ci confida -. Dopo un paio di giorni, dopo un allenamento andai a dormire in camera. Mi sono svegliato trovandomi Di Canio a petto nudo con un rasoio in mano: ‘Ora devo rasarti’. È nato come uno scherzo, ma da quel momento in poi non li ho più fatti ricrescere».
«Prima i senatori potevano permettersi qualsiasi cosa nello spogliatoio. Potevano fare qualsiasi cosa con i giovani per temprarne il carattere. Ti stuzzicavano per capire se avessi la forza di restare a quel livello. Al primo errore mi dicevano: ‘Ma che stai a fa? Torna in primavera, questa è la serie A’. Non bisogna essere permalosi, perché poi ci giocano ancora di più».
In chiusura gli domandiamo che, secondo lui, poteva diventare un giocatore davvero determinante, ma per qualche motivo non c’è riuscito: «Giuseppe Rossi – risponde -. Era un fenomeno vero, ai tempi era devastante, aveva un sinistro magico, aveva uno spunto nei primi metri difficile da vedere».