Denis Cheryshev è quel tipo di esterno che in Italia non produciamo più o che comunque è sempre più raro vedere. Nato in Russia, ma che ha vissuto per oltre vent’anni in Spagna, un personaggio sui generis fin dal principio. Un’ala cresciuta per le strade di Madrid, prima di formarsi a Valdebebas ammirando Raul e compagni. Palestra di vita, fatta di asfalto e ginocchia sbucciate. «Poi arrivi al Real e resti a bocca aperta. Hai una sensazione del tipo ‘ma che c’entro io con questi alieni?’. Ci metti un po’ a considerare normale gente come Sergio Ramos o Casillas. Non ti sembra vero. Anche se da loro ho imparato l’umiltà, credimi erano sempre disponibili a darti una mano».
Ora Denis, 32 anni compiuti a dicembre, è sbarcato a Venezia per rinascere, dopo una vita in Spagna tra Real Madrid, Siviglia, Villarreal e Valencia. «Mi ha convinto l’idea di provare un’esperienza nuova, in un paese in cui non avevo mai giocato ma che avevo sempre visto con grande interesse da spettatore. Ci siamo guardati negli occhi con il direttore e con il presidente e mi hanno trasmesso fiducia. Non ho dato peso alla categoria. Quest’anno puntiamo a salvarci, ma spero che dalla prossima stagione potrò aiutare la squadra a tornare in Serie A». Fin qui ha segnato 3 gol in dieci partite prima di fermarsi per un infortunio al bicipite femorale. «Ricordo le due prime reti contro il Cagliari come le avessi fatte ieri. Subentro dopo un’ora e ne infilo due nei primi 5’. Gol del sorpasso e quello del tre a uno».
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Real Madrid, quanti ricordi. Da Mourinho a Ozil e CR7
Poi un salto nel passato, a tappe. La prima si chiama Real Madrid. «Devo un grande grazie a Josè Mourinho. Mi ha dato fiducia e mi ha buttato dentro. Non me lo dimenticherò mai». Mentre te lo racconta sorride, ne parla come se lo avesse davanti. Quasi si emoziona. «È il miglior comunicatore del mondo. Ha un modo di lavorare inimitabile, perché è il suo carattere che lo contraddistingue. È attento a ogni dettaglio. E se da fuori spesso si pensa che a campioni come quelli che c’erano in quel Real non si possa insegnare nulla, lui è la migliore dimostrazione che non è assolutamente cosi. Mi ricordo che in spogliatoio urlava chiedendoci di dare sempre di più, anche se eravamo in vantaggio di 2 o 3 gol, perché eravamo il Real Madrid. Non volava una mosca e la squadra rientrava in campo a mille all’ora. Un genio». Nel parlare dei Blancos i ricordi escono da soli. Polaroid di un ragazzo che rubava con gli occhi e apprendeva come una spugna. Sguardo curioso, attento, con tanta voglia di crescere. «Ho sempre cercato di seguire i consigli di tutti. Anche se certe cose non le puoi imparare. In allenamento entri in campo e trovi Ozil che fa dei numeri che neanche alla PlayStation! Lo guardavo e pensavo ‘ma come fa?’». Poi ti giri e vedi Cristiano Ronaldo e Modric che si scambiano il pallone, dai e vai e tiro in porta. «Una meraviglia, fuori dal mondo. Luka ti colpisce per la sua semplicità, rende banali le cose impossibili. E poi non sbaglia mai. Io li osservavo incantato come un bambino al luna park». Infine una cartolina su Ronaldo. «Io ero un ragazzino, lui già un campione. Mi colpì una volta, quando tornavamo da una partita di Champions in casa del Manchester City, Cristiano si fece lasciare al centro sportivo per fare la crioterapia. Era notte fonda, tutta la squadra andò a casa, non lui. Ecco perché poi in campo fa la differenza».
«Rafa guarda su Twitter». Blancos eliminati per “colpa” di Denis
Cheryshev al Real divenne anche famoso per un episodio particolare. Ma inquadriamo il contesto, prima di tutto. È la Coppa del Re del 2016 e la squadra di Benitez va a Cadice per affrontare i gialloblù che sono in terza serie. Denis parte titolare e subito pronti via punge. Passano pochi minuti e il pubblico della città andalusa inizia a chiamare in causa l’allenatore del Madrid con insistente ironia: “Guarda su twitter, Rafa guarda su twitter”, è uno dei primi cori che si ascoltano al Ramon de Carranza. L’invito non è casuale. Infatti qualche mese prima – anche se nella stagione precedente – Denis giocava la semifinale di Coppa del Re con la maglia Villarreal, contro il Barcellona. Viene ammonito e di conseguenza squalificato. Il Villarreal però esce e lui alla competizione non pensa più, in estate torna a Madrid dal prestito e si dimentica di quel cartellino. Distrazione fatale. «In Spagna cambiano spesso le regole, nessuno pensò che quella squalifica fosse ancora valida. Poi credi che qualcuno dello staff se ne sia accertato prima della partita… e invece no. All’epoca mi sentivo in colpa, oggi ci rido su. È passata una vita». In tanti però si ricordano di lui anche per quello.
Il viaggio nel mondo del pallone l’ha portato da Madrid a Venezia, con in mezzo tanta vita tra esperienze e ricordi. «Valencia è la mia casa e lo sarà sempre. Credo che ognuno abbia un posto particolare che porta nel cuore, anche se tutte le esperienze mi hanno dato tanto. Marcelino, che ho avuto sia lì che al Villarreal, lo considero il mio padre calcistico» Denis al Mestalla è stato cinque anni, prima nel 2016 e poi per quattro stagioni consecutive dal 2018 al 2022. «Che stadio, che calore. Porto con me ricordi bellissimi, sono stato davvero bene. Ci sono state poi annate in cui eravamo fortissimi, avevamo giocatori come Ferran Torres, Soler e Rodrigo. Abbiamo vinto una Coppa del Re in finale contro il Barça, ma avremmo potuto fare anche di più».
Pesca e Dostoevskij
Cheryshev però non è uno da solo calcio, anzi. Tante passioni sparse, dalla pesca alla lettura. Partiamo dalla seconda. Adesso sta leggendo “I fratelli Karamazov” di Fedor Dostoevskij. «L’ho sempre voluto iniziare, ora ho finalmente trovato il tempo. Ma in generale sono sempre stato, fin da piccolo, uno che legge parecchio. Grandi classici, libri motivazionali, un po’ di tutto. Dipende anche dal periodo». E poi la pesca. «A casa mia in Russia passavo le ore a pescare da solo. Pensarci mi riporta indietro nel tempo. Purtroppo negli ultimi anni non sono più riuscito ad andare molto spesso».
«Mondiale momento magico, un altro grazie lo devo a Capello»
L’ultima fotografia la pesca dal mazzo per spendere un altro grazie. «Lo devo a Fabio Capello. Mi ha fatto esordire in nazionale, regalandomi il momento più bello della mia vita. Ha avuto il coraggio di crederci”. Poi il Mondiale del 2018 giocato in casa da protagonista, con Cherchesov allenatore. «Un’estate magica. All’esordio ne faccio due contro l’Arabia Saudita, rientro in spogliatoio e mi trovo mio padre in lacrime in videochiamata. E pensa che non l’aveva neanche vista perché era in aereo». Denis si ferma, sorride e riparte. «La scena che porto nel cuore è la corsa dopo la vittoria contro la Spagna ai rigori. Tutti abbracciati, anche senza forze, non ci sembrava vero. Peccato perché eravamo un grande gruppo, da Akinfeev a Dzyuba, potevamo arrivare addirittura più avanti. Dopo la vittoria della prima partita c’erano duemila persone che cantavano fuori dal nostro centro sportivo, un entusiasmo incredibile. Furono fatali i rigori contro la Croazia. Ancora oggi però le persone – anche in Italia – mi fermano per strada e mi ringraziano per i gol fatti al Mondiale».
Dribblomane, istintivo, pugnace, uno che aggredisce la partita invece di subirne il ritmo. Ecco Denis, esterno vivace in campo e un ragazzo diverso da molti altri, fuori. Con vari grazie sparsi tra Dostoevskij, Tolstoj e Mourinho. Oggi il presente dice Venezia, con l’obiettivo di ripartire e dimostrare di essere ancora in grado di imporsi nel calcio. Altro paese, altra storia, ma lo stesso modo di attaccare la fascia. Il ragazzino di Madrid è diventato grande, si porta dentro tante cose e ha imparato dai migliori. Gli occhi, determinati e curiosi, non sono però mai cambiati.