Pensi ai Paesi del Golfo Persico e ti vengono in mente il deserto, i cammelli, gli sceicchi e soprattutto i soldi. Oggi sono passati due mesi da quando il mondo del pallone ha lasciato il Qatar, facendo calare il sipario sul Mondiale più controverso di sempre. Eppure si parla ancora di loro.
Già, perché a metà gennaio nel giro di una settimana in Arabia Saudita si sono giocate prima le final four della Supercoppa di Spagna, poi il derby, sempre di Supercoppa, tra Inter e Milan. E ancora Cristiano Ronaldo, l’Al Nassr e la firma di un contratto faraonico. Duecento milioni a stagione per due anni e mezzo. Il giorno della presentazione, Rudi Garcia – l’allenatore delle dieci vittorie consecutive con la Roma nel 2013-2014 – ha detto che l’arrivo di CR7 in Arabia vale come quello di Pelé ai Cosmos. Epocale. Un trasferimento che va oltre il calcio o lo sport, che fotografa il potere di una regione in continua espansione. Fino a anno mese fa, anche solo pensarlo, sarebbe stato come cercare l’acqua nel deserto. Ora invece è realtà e in futuro potrebbe crescere ancora. Magari con la Coppa del Mondo del 2030. Chissà.
«Il calcio, più di ogni altra cosa, può cambiare la nostra mentalità».
Per spiegare il contesto si può partire da una frase di Mohammed bin Hamad bin Khalifa Al-Thani, fratello dell’attuale emiro del Qatar. «Il calcio, più di ogni altra cosa, può cambiare la nostra mentalità». Messaggio guida di un progetto che punta in alto, stella polare di una rivoluzione in atto che esula dallo sport. Anzi, di cui lo sport può essere motore. L’obiettivo sarà quello di puntare forti sulla capacità di aggregazione delle discipline – nello specifico del calcio – tentando di raggiungere più persone possibili e di promuovere una diversa immagine del Paese. Una Nuova Arabia, caratterizzata da eventi mondiali, che metterà sempre di più le mani sul mondo del pallone e dello sport in generale.
D’altronde il calcio, come la storia, è fatto di epoche. E Paesi come il Qatar e l’Arabia Saudita si apprestano a vivere la prossima da protagonisti. Per motivi di immagine, ma non solo. C’entrano anche la politica e l’economia. E visto che lo sport sta diventando sempre di più un attore geopolitico globale – nonché un vero e proprio strumento di soft power – sarà il mezzo che verrà usato per raggiungere determinati obiettivi. Niente di nuovo o che non si sia già visto.
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Basta un dato però per renderne la dimensione. I telespettatori complessivi degli ultimi Mondiali in Qatar hanno superato i 5 miliardi, ovvero più della metà della popolazione mondiale dai quattro anni in su. Numeri utili per far passare il concetto. Lo sport, in questo caso il calcio, ha una funzione di primaria importanza e tocca tutti gli ambiti. L’obiettivo ora sarà quello di mostrare al mondo intero una visione positiva della loro cultura. Come? Sfruttando le stelle e la loro spettacolarizzazione. Diventerà quindi sempre di più uno show.
Cristiano Ronaldo ma non solo
Il fenomeno portoghese è planato come un ufo su un pianeta inesplorato e dopo un periodo di adattamento ha ricominciato a fare quello che sa fare meglio, segnare. Un poker e una tripletta nelle ultime tre partite dell’Al Nassr e 8 gol totali nel mese di febbraio. Ma non è l’unico che ha fatto una scelta simile, attratto sicuramente dai soldi ma anche da un mondo in espansione non solo calcistica. Dal Qatar sono passati a ritirare nobili assegni i vari Eto’o nel 2018 a 37 anni e poi l’ex compagno Xavi, che a Doha ha iniziato ad allenare, fino a Sneijder che ha chiuso con l’Al Gharafa. Andando ancora indietro, nei primi anni Duemila, all’Al Ahli ecco Pep Guardiola con Gabriel Batistuta all’Al Arabi e Claudio Caniggia al Qatar Sc. Pensionati d’oro. Storie diverse, che come punto in comune hanno il luogo del tramonto delle loro carriere. Di esempi se ne potrebbero fare a bizzeffe. Quindi, come dicevamo, niente di nuovo. La Saudi League è un campionato in crescita con 130 stranieri, tra cui l’ex Bayern Luiz Gustavo e l’ex Shakhtar Talisca. E chissà quanti ne arriveranno ancora.
«Nel giro di dieci anni questo paese sarà al centro del calcio»
Il principe ereditario del Regno Saudita Mohammed bin Salman guarda Ronaldo e sorride, pensando che possa essere il passe-partout per inserirsi nella mappa del calcio mondiale con un ruolo di spicco. Su questo CR7 è una garanzia, chi meglio di lui. Moltiplica la visibilità internazionale del campionato e ne alza il livello. Rudi Garcia, sempre in occasione della sua presentazione aveva detto «non mi stupirei se nel giro di dieci anni questo paese sarà al centro del calcio». Chissà se sarà profetico. Quel che è certo è che l’investimento complessivo costerà circa un miliardo di euro, ma l’obiettivo è che serva per portare in Arabia Saudita la Coppa del Mondo del 2030. Non c’è pazienza, ma soltanto voglia di crescere esponenzialmente e prendersi tutto. Hanno iniziato con la Supercoppa, poi la Formula uno e in futuro gli eventi saranno sempre di più. Il Qatar con il Mondiale ha brillato per un mese, con gli occhi del mondo addosso, nonostante le polemiche e le discussioni. Ora potrebbe essere il turno del Regno Saudita, il più grande stato arabo dell’Asia occidentale. D’altronde se la scena se l’è presa il Qatar – che conta appena 2 milioni di abitanti – perché non l’Arabia Saudita che ne ha 34 milioni? Stavolta potrebbe toccare a loro.
Da quelle parti, tra dune del deserto e montagne di soldi, hanno messo in scena un circo che non si può non guardare, che cattura attenzioni, fa parlare e discutere. Resterà solo da capire cosa resterà nella sabbia, una volta che il tendone si sarà sgonfiato, la ruota panoramica si sarà fermata e il pallone avrà smesso di rotolare.