Funes, piccola cittadina a circa 15 chilometri da Rosario. In sottofondo si sente il frinire delle cicale tipico dell’estate argentina e il fischietto dell’arbitro, ma in campo sta giocando suo figlio Nicolas. «Io ho smesso nel 2021 e ho iniziato il corso da allenatore, ora mi sto concentrando soprattutto ad aiutare i calciatori in alcuni aspetti extracampo: sono l’ambasciatore di Libro de Pases, una StartUp creata da Juan Cruz Gotta. Partendo dal fatto che il 99% dei giovani non arriva in Primera, e che alcuni non diventano professionisti perché non hanno contatti, noi gli diamo questa opportunità: connettiamo i calciatori e i club. Un’app che sta crescendo molto grazie anche ai convegni con le varie società e WyScout. Lavoriamo in Sudamerica e Spagna, ma vogliamo arrivare anche in Italia». A parlare è Santiago Gentiletti, ex difensore centrale di Lazio e Genoa che 2 anni fa ha chiuso la carriera con la maglia del Newell’s Old Boys. «A Roma mi sono trovato bene, nonostante la lingua diversa. Mi manca la cucina, in pochi posti si mangia così bene. Il mio piatto preferito resta la pasta cacio e pepe: spettacolare».
La storia di Gentiletti: la Lazio, la chiamata del Tata e l’infortunio
El Chueco, lo storto, in Italia ci è arrivato tardi rispetto ad altri suoi connazionali. Dopo una parentesi in Ligue 1 con la maglia del Brest, a 29 anni è tornato in Europa per giocare in Serie A reduce dalla vittoria della Copa Libertadores con il San Lorenzo. «Anche Messi ha vinto il Mondiale a 36 anni e non nel 2010 quando era al top. Ma il calcio è così. Il San Lorenzo voleva che restassi altri 6 mesi per giocare il Mondiale per Club, io ero nel miglior momento della mia carriera e arrivai alla Lazio con molte aspettative. Avevo parlato anche col Tata Martino perché voleva convocarmi nella Selección. Sono stati anni meravigliosi alla Lazio, nonostante l’infortunio al ginocchio».
L’esordio all’Olimpico col Cesena, poi la trasferta a Marassi contro il Genoa e il crociato che fa crack. «Non mi ero mai infortunato prima. Durante il periodo di recupero ho sempre pensato a tornare in campo, mai a quello che avevo perso. Rientrai e segnai contro la Sampdoria, nello stesso stadio dove mi ero infortunato. Il bello del calcio». In quella prima stagione sulla panchina biancoceleste sedeva Pioli. «Ricordo che nelle settimane precedenti avevo detto a Stefano che ancora non mi sentivo pronto per giocare. Prima di quella partita con la Samp invece gli dissi che stavo bene, mi sentivo ‘barbaro’, ma la decisione finale era la sua. Aveva giocato nella mia stessa posizione ed è stato importante averlo come primo allenatore in Italia: mi ha semplificato le cose».
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Gentiletti, 38 anni, del primo anno ricorda l’affetto dei tifosi, nonostante la lunga assenza. La stagione finì con la sconfitta in finale di Coppa Italia nei minuti di recupero e quella dopo iniziò con l’eliminazione dalla Champions League ai preliminari. «Alla fine del 2015 ho avuto un nuovo problema al ginocchio, e poi c’è stato il cambio di allenatore». Pioli venne esonerato dopo la sconfitta per 4-1 nel derby. E al suo posto venne promosso l’allenatore della Primavera, con cui Gentiletti aveva giocato una partita prima di tornare a pieno regime in Prima Squadra. «Con Simone Inzaghi ho avuto un rapporto meraviglioso. Già quando allenava la Primavera era spesso a vedere i nostri allenamenti. Si è meritato la carriera che sta facendo e lo ha dimostrato sia con la Lazio che con l’Inter».
L’addio alla Lazio per Lotito e il trasferimento al Genoa
33 presenze e 1 gol con la maglia della Lazio, poi Santi ha lasciato la capitale per trasferirsi in Liguria nel 2015. Genova nel destino. «Andai al Genoa per un problema personale con Lotito, punti di vista differenti…Se dovevo continuare nella Lazio dovevo farlo nel miglior modo e sentendomi tranquillo. In quel momento non lo ero, nonostante Inzaghi insistesse per farmi restare. Lotito è un personaggio particolare, con aspetti positivi e negativi come tutte le persone. Aveva i suoi modi di vedere le cose e io non ero d’accordo con lui, ma se un giorno lo dovessi rincontrare lo saluterei come qualsiasi persona che ho conosciuto in passato». Tra le questioni sulle quali non condivideva l’idea del presidente ce n’è una. «Non capivo il perché dei ritiri punitivi. Per me non hanno logica. Un’incoerenza totale, non è che se mi punisci vado in campo e vinco. Sono andato in Spagna, ad Albacete, e lì ci ritrovavamo direttamente per la partita quando giocavamo in casa. Ma capisco che siano culture diverse…».
Juric, Ballardini, Genova sudamericana e l’Inter
In rossoblù ha trovato una colonia sudamericana, con i vari Laxalt, Burdisso, Orban, Ocampos e Rincon, oltre ad un allenatore croato che si ispira al Loco. «A Genova i primi sei mesi andarono bene. Juric per me è stato uno degli allenatori da cui ho appreso di più. A 17 anni ero allo sparring della Selección e c’era Bielsa come c.t.: con Ivan ho visto alcune similitudini, ma aveva anche sue particolarità». Juric, Mandorlini e ancora Juric, infine Ballardini. «Ricordo che durante gli allenamenti diceva sempre: “Va bon?”. Una brava persona, anche se c’erano situazioni in cui non decideva direttamente lui. Durante la sua gestione ho vissuto una situazione particolare: giocavo poco e l’ultimo giorno di mercato mi hanno detto che non mi volevano più. Mi è sembrata una mancanza di rispetto nei miei confronti da parte del ds e poi di Ballardini, perché se me lo avessero detto prima avrei potuto valutare altre possibilità». Da quel momento, il classe 1985 è finito fuori rosa per poi lasciare l’Italia nell’estate 2018 e trasferirsi in Spagna.
L’esperienza al Genoa di Gentiletti è terminata male: 24 presenze in annate complicate e salvezze conquistate nelle ultime giornate, ma anche con bei momenti fuori dal campo. «Eravamo tanti sudamericani e ci ritrovavamo tra di noi per l’asado, spesso a casa di Burdisso. Lo avevo conosciuto nel 2004 in nazionale e siamo rimasti in contatto: ha una grande personalità ed è tra i migliori centrali con cui abbia giocato, se non il migliore. Ho imparato tanto da lui, mi ha cambiato la testa, il modo di vedere il calcio in tutti gli aspetti. Per esempio il fatto di poter migliorare ogni giorno ed essere leader senza imporsi…E anche a bere il vino». Sorride Gentiletti, cosa che invece faceva poco l’attuale dt della Fiorentina. «Ricordo che aveva sempre la solita espressione seria. Non rideva mai, neanche in auto quando mi riportava a casa. E allora lo prendevo in giro, doveva ridere un po’ di più».
Dalla gavetta in Cile al tetto del Sudamerica per far felice Papa Francesco. Italia, Francia e Spagna, oltre a due campionati argentini vinti con Argentinos Juniors e San Lorenzo. «Nessun rimpianto. Se potessi tornare indietro rifarei tutte le scelte, magari senza infortunarmi alla Lazio». Anche se una squadra che si era interessata e in cui gli sarebbe piaciuto giocare c’è. «Nel 2015 c’era stata la possibilità di andare all’Inter, ma alla fine non si è concretizzata. Sono felice della carriera che ho fatto. Ora sono concentrato sui miei figli e la mia famiglia, voglio aiutare i calciatori in situazioni personali e patrimoniali, perché sono aspetti che vengono molto spesso trascurati». In sottofondo si sente un triplice fischio. Partita finita. Santiago Gentiletti ci lascia per andare a riprendere il suo Nico.