Gianluca Mancini, lo studente di ragioneria che studiava Boateng e si è affermato in difesa

by Giacomo Brunetti
Gianluca Mancini

Domenica 5 marzo. Mentre Gianluca Mancini riceve il pallone, José Mourinho sta parlando con un collaboratore, indicandogli qualcosa a penna. Alza la testa, Mancini spara una bordata e segna alla Juve. José, impassibile, si rimette al lavoro. «In allenamento, ogni tanto, mi fermo e provo a tirare da lontano», Mou sembrava quasi aspettarselo.

La vena realizzativa di Mancini – 12 reti in A, la prima quest’anno dopo l’ultima stagione a secco – parte da Montopoli, dove i suoi genitori hanno un’azienda di ortofrutta. Attiguo al loro appezzamento di terra, il campo del Valdarno Calcio. Sapete quante reti aveva segnato prima di essere notato dalla Fiorentina? 180!

Un articolo del giornale Il Tirreno, datato 1 agosto 2011, recita: «È nata una stella del calcio di domani. Si tratta di Gianluca Mancini, 15 anni, residente a Montopoli Valdarno ma già un giocatore dell’ACF Fiorentina». Da pochi giorni, infatti, Mancini ha vinto lo Scudetto Giovanissimi con i viola: ultimo titolo giovanile della società.

In un podcast curato da Cronache, il suo ex compagno in quella cavalcata, Simone Segoni, ci ha raccontato: «Lo chiamavamo ‘Cucciolo’. Capelli corti, faccia angelica, ma era alto 190cm e in campo era un mastino. C’era questa costante contrapposizione».

Successivamente ha forgiato il carattere guardando le scivolate di Materazzi – idolo, tatuaggio e riferimento – ma in quei giorni di successo in Toscana, al 2° anno di ragioneria a Pontedera, studiava come modello Boateng. Uno che tiri come quello realizzato in Roma-Juventus li ha nel DNA. Un gol che parte dai video di Kevin-Prince.

Dal Bar Fantasy di Montopoli fino all’Olimpico. Le canzoni di Ligabue e i film d’azione. In quell’infanzia da goleador di Mancini c’è il brodo primordiale del difensore che è adesso. Un’altra vita, quasi, dedita all’attacco, coltivata poi con il maestro Gasperini fino alla maturità raggiunta con Mourinho.

Beppe Aurilia, il suo primo allenatore, nel 2012 lo invita a casa per una cena. Prende una lavagnetta di sughero e scrive: «26 giugno 2012, tu diventerai un calciatore». Come raccontato a GianlucaDiMarzio.com, «da piccolo segnava 3 o 4 gol a partita. Mi metteva in difficoltà con gli avversari ed ero costretto ad arretrarlo a centrocampo». Amato e odiato per i suoi modi in campo, Mancini è uno dei leader e capitani della Roma voluta da José Mourinho. Un calciatore che ha trovato la sua dimensione, che in estate ha rinnovato con i giallorossi senza ascoltare altre sirene.