di Alessandro Lunari
«Una ragazza non può giocare a pallone, dai». Era questa una delle tante frasi che riempivano i pomeriggi nei piccoli campetti polverosi di Roma dove giocava Arianna Caruso, oggi calciatrice professionista della Juventus e della Nazionale italiana. A pronunciarle, spesso e volentieri, non erano né i suoi compagni di squadra né gli avversari. Venivano dai genitori dei tanti altri ragazzini che, come lei, amavano il pallone più di ogni altra cosa. Eppure, il calcio non era per ragazze.
«Era strano perché a scuola non ho mai ricevuto commenti fastidiosi o offese. Anzi, quando c’era la possibilità durante l’intervallo o nelle assemblee giocavo a calcio anche a scuola. Perfino in partita, fin quando sono scesa in campo con squadre maschili, non ho mai ricevuto mezza parola negativa dagli avversari. Anzi, loro erano anche contenti di vedermi. Magari pensavano di avere un vantaggio vedendo una ragazzina in campo, e invece…». La stoffa c’era già. «Mi sono trovata sempre bene nelle squadre in cui giocavo. Una volta, quand’ero veramente piccola, ho giocato una partita contro la Roma. Tecnico e staff avversario rimasero stupiti: ‘Ah, è bravino quel ragazzino’, dicevano. Ricordo ancora la loro faccia quando scoprirono che ero una femmina. Colpa dei capelli, li portavo corti. Però per me quel momento fu molto bello. Mi dicevo: ‘Vedi? Se non avessero saputo che ero una femmina, magari mi avrebbero già presa…’».
«Certe trasferte non le dimenticherò mai»
A neanche 24 anni, Arianna detiene già il record di presenze con la maglia della Juventus. Questa è la sua 6a stagione in bianconero. Tradotto significa: 5 scudetti, 2 Coppa Italia e 3 Supercoppe Italiane. È arrivata a Vinovo ancora ragazzina, quando di anni ne aveva ancora 17. Ha vissuto in prima persona l’evoluzione di tutto il movimento del calcio femminile, entrato nel professionismo lo scorso 1° luglio: «Sono sincera: cosa è cambiato qui alla Juventus dal 1° luglio? Niente, solo quello che c’è scritto sulla carta. Ci trattavano come professioniste già da prima. Sicuramente è stato un passo importante, ma per come viviamo tutti i giorni a Vinovo, noi lo eravamo già da un pezzo».
Prima della Juventus Women, Arianna è cresciuta nella sua Roma: «Oggi è un mondo totalmente diverso rispetto a quando ho iniziato. Ho 24 anni, sono giovane, ma forse per questo ho vissuto appieno il passaggio completo. Mi ricordo ancora le trasferte nei primi anni in cui giocavo con le ragazze a Roma. Partivamo col pullman verso Udine, Torino o Milano. Magari, capitava di farlo in giornata perché il budget a disposizione non era abbastanza alto per far dormire 25 persone in hotel». Sembra un’altra epoca, e invece parliamo solo di pochi anni fa. «Magari mangiavi per strada un pezzo di pizza prima della partita perché non avevi i soldi per fermarti al ristorante. Ora è tutto diverso, è un altro sport. Probabilmente abbiamo iniziato a viverlo come i maschi. E la differenza maggiore sta nel come veniamo trattate, anche al di fuori: siamo professioniste a tutti gli effetti».
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L’Italia cresce, ma all’estero vanno al doppio
Risuonano forti le parole di qualche giorno fa del CT Roberto Mancini: «Abbiamo 3 squadre tra le prime 8 d’Europa, ma gli italiani sono 7-8 in totale. Non mi parlate di rinascita del calcio italiano, per favore». Nella situazione di piena emergenza in cui imperversa il nostro calcio, con sempre meno giovani impiegati dalle formazioni di Serie A, il commissario tecnico azzurro ha dato il via ad un percorso che porterà probabilmente in maglia azzurra molti oriundi, cresciuti all’estero. Un po’ come per Retegui, a segno contro Inghilterra e Malta.
Nel calcio femminile le cose stanno andando diversamente. La Nazionale ha partecipato all’ultimo Mondiale e all’ultimo Europeo, tra alti e bassi, e a luglio giocherà la sua seconda Coppa del Mondo consecutiva: «A differenza del calcio maschile, quello femminile prevede un numero fisso di calciatrici italiane da avere in squadra. Bisogna tornare a puntare sui vivai italiani, far crescere i giovani e dar loro spazio perché sennò per la Nazionale c’è poco futuro. E l’abbiamo visto. Magari anche da noi, senza quel vincolo, giocherebbero le straniere. Dobbiamo cambiare la mentalità. Quando una di noi va fuori, trova delle difficoltà, non deve giocare per forza. Le ragazze che arrivano da fuori, dato che il calcio femminile all’estero è più sviluppato, trovano spazio più facilmente. Se dovessi andare io all’estero, sono certa che appena arrivata non diranno: ‘Ah è straniera, deve giocare’. Anzi, magari dicono: ‘Perfetto, può sedersi in panchina’. All’estero valorizzano i propri giocatori, ci investono. E lo fanno davvero, sul serio».
D’altronde Spagna, Inghilterra e Francia, su tutte, hanno ricostruito dopo aver esaurito dei cicli importanti, scovando i propri talenti nei settori giovanili, nelle squadre B, un mondo che in Italia non ha ancora trovato grande spazio. E gli investimenti sul calcio femminile, non sono mai mancati: «Da noi l’attenzione sul calcio femminile è aumentata, ma in futuro un’esperienza fuori vorrei provarla. Abbiamo solo un’italiana che gioca all’estero, Aurora Galli. Non so in realtà cosa ci freni, sono domande che faccio anche a me stessa. Forse la lingua, il mettersi in discussione, ma sarebbe bello che iniziassimo anche noi italiane a girare per l’Europa. Però, forse in questa fase, per la crescita del movimento italiano, preferisci restare. Pensi a com’era prima e a com’è oggi. Senti che le cose stanno cambiando, piano piano, però stanno cambiando.
Siamo ancora indietro, ma è normale. Se penso a dove eravamo 4 anni fa… magari rispetto all’Inghilterra. Non possiamo pretendere di essere al loro livello. Da dove inizierei la scalata per colmare il gap? Dagli investimenti. Lì hanno valorizzato tutto il calcio femminile, giocano sempre in stadi importanti. Per noi, invece, quella è l’eccezione: magari per la Champions League o eventi del genere. Spero, che però anche per noi diventi la normalità. A 23 anni ho giocato a Londra, all’Allianz Stadium o in grandi impianti con l’Italia: vedere quegli stadi lì pieni, è tutta un’altra cosa. È lì che è racchiusa l’essenza del calcio: quando entri in campo e vedi uno stadio tutto pieno, ti viene ancor più voglia di giocare».
Caruso e la chiamata della Juventus
Questo è il 6° anno per Arianna a Torino. La Juventus di Montemurro è ancora in corsa per lo scudetto, mentre giocherà la finale di Coppa Italia contro la sua vecchia squadra, la Roma, il prossimo 4 giugno: «Quando ero alla Res Roma, arrivarono alcune offerte. Poi, ecco la Juventus. Per venire qui a Torino il club aveva organizzato tutto il viaggio per me e la mia famiglia. Mi hanno fatto fare il giro dello stadio e del museo, spiegandomi tutto il progetto. Io andavo ancora a scuola e loro lo sapevano: ‘Non devi preoccuparti di nulla. Noi abbiamo una scuola a disposizione. Se non fai il nostro indirizzo scientifico, puoi andare in un’altra scuola pubblica e intanto stai in convitto da noi.
Avrebbero pensato a tutto loro: cibo, vestiti da lavare, passaggi col pulmino. E a 17 anni, se ti dicono una cosa del genere, non puoi rifiutare. Penso che anche per i miei fosse un sollievo: vedere la propria figlia andar via di casa a 17 anni, senza finire neanche la scuola, poteva essere una preoccupazione. In realtà, ringrazio i miei genitori perché se non li avessi ascoltati, non sarei arrivata alla Juventus». Ma in che senso? Riavvolgiamo il nastro.
«Una settimana prima della chiamata della Juventus, incontrammo un’altra squadra. Sarei dovuta andare a vivere con un’altra persona, avrei dovuto cercare io una scuola e provvedere autonomamente agli spostamenti. Non avevo neanche la patente. Era difficile, ma io sono molto istintiva. Dopo il colloquio, dissi già: ‘Va bene lo stesso, voglio firmare’. I miei invece temporeggiavano: ‘Arianna, calmati. Aspetta un attimo’. Neanche a farlo apposta, arriva la Juventus. Loro sono entrati con un altro passo nel mondo del calcio femminile. E i risultati sono la miglior prova possibile.
Sai, a 17 anni ci ho pensato molto. Non è stato facile, anzi. Sono stata male: Torino non è dietro l’angolo per me che vengo da Roma. Dovevo lasciare la scuola all’ultimo anno, i miei amici, la mia famiglia. Ero molto spaventata, ma tornassi indietro rifarei tutta la vita questa scelta».
Un rapporto speciale
Nella carriera di Arianna c’è sempre stata una figura chiave al suo fianco. Una presenza fissa, nel bene o nel male, che l’ha accompagnata lungo tutto il suo percorso. Il papà. «A 9 anni ho rischiato di perderlo. Da quel momento, ho capito ancor di più l’importanza di avere accanto un genitore. È nato un rapporto speciale, tutto in maniera naturale. Qualcosa di diverso, che fatico a descrivere a parole. E poi ci assomigliamo tantissimo. In passato ho detto: ‘Mi si gonfia il petto d’orgoglio quando mi dicono che sono uguale a mio padre’. Ma è vero. Se prendi una foto di lui da piccolo e una mia, lo vedi subito: siamo uno la fotocopia dell’altro. Mi ha sempre detto: ‘Eh mi dispiace, per tua sfortuna sei uguale a me’. Senza di lui, in realtà, non avrei neanche iniziato a giocare a calcio».
Già, perché all’inizio, da piccola, Arianna praticava il nuoto insieme a sua sorella, nonostante il calcio fosse sempre stata la sua più grande passione: «Ho sempre avuto il pallone sotto al braccio. Mi ricordo che quando mia sorella faceva le gare di nuoto, io uscivo dalla palestra e andavo fuori a giocare a calcio con gli altri bimbi. Tanto, dovevo sempre aspettare che gareggiasse e si ripreparasse. Almeno mi divertivo anch’io.
Ho iniziato a giocare a calcio grazie al padre di una sua compagna di nuoto. Faceva l’allenatore e un giorno mi disse: ‘Perché non provi un allenamento? Vieni, se ti va’. Guardai mio padre, ero super emozionata. Ci capimmo con uno sguardo. Per me era un sogno. Mia madre, invece, era un po’ più frenata. Vedeva il calcio come uno sport da maschi. Forse adesso, se sentisse queste parole, si pentirebbe un po’. Però oggi è la mia prima tifosa.
Allora iniziai ad allenarmi con la squadra di questo signore. Pensavo: ‘Ok, ora che gioco a calcio, mollo il nuoto’. Neanche per sogno. Mia mamma mi ci portava a forza. Per mia sorella era una passione, ma io non ho mai pensato che potesse essere la mia vita. Ho preso un’altra strada, ma è andata bene».
Il sogno nel cassetto
A quasi 24 anni, Arianna è una professionista, gioca nella Juventus e in Nazionale. Il coronamento di un sogno: «Se vedo il percorso di tante altre ragazze della mia età, capisco di essere stata fortunata. C’è chi è andata in prestito, senza mai tornare alla Juventus. Io invece posso dire: ‘Ce l’ho fatta’. Sia Rita Guarino prima, che Montemurro ora mi hanno sempre dato spazio. L’obiettivo? Le 200 presenze con la Juventus. Ma il vero sogno nel cassetto è la Women’s Champions League. Però guardo a quest’anno: voglio il 6° scudetto consecutivo e la Coppa Italia. E poi c’è il Mondiale.
Voglio vivermelo diversamente. L’Europeo è stata la mia prima competizione internazionale con la Nazionale. Era tutto nuovo per me, ma non è andata benissimo. Lo sappiamo tutti, però non scorderò mai il momento della convocazione. È stata la ciliegina di un percorso iniziato tre anni prima. I miei erano contentissimi. Come al solito, a casa, era mamma contro papà. Mio padre è la parte ottimista della famiglia, mia mamma invece diceva: ‘Arià, finché non vedo, non credo’. Quando li ho chiamati per dirglielo, sono esplosi di gioia, ma poi mio padre l’ha guardata: ‘Vedi, lo sapevo. Te l’avevo detto’.
Questione di incontri… e poi la promessa
Arianna è nata e cresciuta a Roma. Se parli di calcio nella capitale, le fazioni sono due: o tifi Lazio, o tifi Roma. Nella maggior parte dei casi è così. La sua famiglia, in primis suo padre, ha sempre tifato Roma: «Mio papà è romanista sfegatato. E io a casa sono cresciuta seguendo la Roma e impazzendo per Totti. Ancora oggi, quando mi riguardo i video di quando giocava, mi viene la pelle d’oca. Il giorno del suo addio non ero all’Olimpico purtroppo, ma ho pianto mentre lo guardavo in tv.
Quando ero piccola l’ho incontrato. Papà mi ha sempre raccontato che appena lo vidi, scoppiai a piangere. Non sono neanche voluta andare in braccio da lui. Mamma mia. Una volta, invece, ho incontrato Pjanic in aereo. Tornavamo entrambi da Roma. Mi ha fermato lui, io credevo che neanche mi riconoscesse. Si è avvicinato: ‘Ciao, come stai? Domani ti alleni?’. Una conversazione normale, ma mi ha fatto tanto piacere. Abbiamo parlato per un po’, da centrocampista a centrocampista.
In realtà, sono tanti i giocatori della Juventus che ci seguono con attenzione. Danilo e Bonucci in primis. Poi ho incontrato Vlahovic al Gran Galà del Calcio. Abbiamo guardato la partita e commentato insieme i movimenti dei calciatori, è stato un bel momento». Proprio negli ultimi giorni, insieme alla compagna Lisa Boattin, ha incontrato e cenato con Chiesa e Gatti: i 4 sono stati premiati a Baveno nel corso di una serata benefica organizzata da due storici Juventus Club.
Intanto, mentre la Juventus maschile è in corsa per l’Europa, Arianna e le sue compagne sono focalizzate sui loro obiettivi: 6° scudetto e Coppa Italia. Ci ha fatto una promessa, in caso di vittoria del 6° titolo consecutivo. Dobbiamo attendere qualche settimana. Se le bianconere scriveranno un’altra pagina di storia, ve la sveleremo.