Appese alle pareti dell’ufficio ci sono le foto di squadra che raccontano gli ultimi successi ottenuti dal settore giovanile neroverde. Cinque trofei in otto anni. Così i ragazzi che entrano per firmare capiscono subito in che realtà arrivano. Attenzione ai dettagli, valorizzazione e risultati. L’ultimo al Torneo di Viareggio in finale contro il Torino. Ennesima polaroid che certifica una filosofia vincente che sforna talenti a raffica. Da oggi, incorniciata, ci sarà una fotografia in più.
Ci sono cose però che contano più dei trofei. Far crescere i ragazzi, crederci e creare un patrimonio tecnico. E generare plusvalenze, un asset fondamentale per la sostenibilità del club. «Ma è soprattutto un discorso umano. Per noi che li seguiamo da quando sono ragazzini, vederli arrivare in alto è la soddisfazione più grande» assicura Francesco Palmieri, da 8 anni responsabile del settore giovanile del Sassuolo. «Sono molto fiero di quello che abbiamo costruito in questi anni. È un lavoro che parte da lontano, nulla è lasciato al caso. Mi piace sottolineare due cose: la prima è il fatto che guardiamo tanto al calcio italiano, prendiamo i giovani, li aspettiamo e li lanciamo. Ci vuole coraggio per farlo, non è da tutti. L’altro punto importante è la riconoscenza. Tornano a trovarmi tantissimi ragazzi, non solo chi ce l’ha fatta, anzi. Vengono anche molti che non hanno avuto fortuna. Vuol dire riuscire a creare un legame a livello personale che resta poi nel tempo».
Obiettivo seconda squadra
Quando si parla di calcio giovanile però il discorso non è tutto rose e fiori. «Noi stiamo lavorando per diventare un modello da seguire, ma non è sempre facile. Vorremmo fare una seconda squadra, per dare spazio ai ragazzi nel mondo del professionismo senza costringerli a cambiare ambiente, zona e allenatore. Ne gioverebbero tutti. Il problema è una regolamentazione troppo rigida che non ci permette di andare avanti. Dovrebbe essere invece più semplice il processo, anche perché sarebbe un qualcosa che farebbe crescere tutti. Noi, i ragazzi e il sistema calcio italiano in generale. Si cresce ovviamente di più se a 18 anni si fanno 30 presenze in Serie C, piuttosto che la metà o addirittura meno nelle giovanili. Poi non ci dobbiamo meravigliare se nel resto d’Europa sono tutti più avanti di noi…»
Coraggio e gestione dei ragazzi: «Vanno lanciati, dandogli la possibilità di sbagliare»
Quest’anno a Viareggio il Sassuolo ha vinto la terza edizione del torneo (un torneo da cui sono passati i più grandi campioni) negli ultimi sei anni. La seconda consecutiva. «È una dimostrazione di continuità e del fatto che anche in una realtà piccola si può costruire un qualcosa di importante. Noi lo stiamo facendo grazie a una società seria, che lavora in sinergia. Anche con la prima squadra c’è tanta condivisione. Parlo con Dionisi tutti i giorni, ci confrontiamo e seguiamo insieme la crescita dei ragazzi». I risultati poi, parlano per loro. Non solo le vittorie, ma anche i tanti ragazzi che ogni anno dalla Primavera trovano spazio in prima squadra. Da Raspadori a Boga e Locatelli, tutti finiti in una big del nostro calcio. «Non mi piace fare nomi, la lista da fare sarebbe davvero lunga. E se guardi succede in ogni stagione con più di un ragazzo. Bisogna però imparare a conoscerli. C’è chi ha bisogno di tempo e va aspettato, chi invece è già pronto. Ma vanno lanciati. Dandogli la possibilità di sbagliare, giocare e fare esperienza».
Da Adrian Cannavaro a D’Andrea e alle altre pepite d’oro da valorizzare
Anche quest’anno questa è la direzione intrapresa. Dionisi ha scelto tre o quattro ragazzi da portarsi in prima squadra, facendoli allenare e preparandoli all’esordio. Per conferma chiedere a Luca D’Andrea, 5 presenze in Serie A a 18 anni, buttato nella mischia da titolare in un Torino-Sassuolo del 22 settembre. Nel gruppo c’è anche Adrian Cannavaro – figlio di Paolo – anche lui classe 2004. «Fa anche lo stesso ruolo del padre. Ieri non c’era perché ormai si allena con i grandi e Dionisi se l’è portato in panchina». Anche lì si affrontavano Sassuolo e Torino, ma il palcoscenico era ben diverso. «Se lo merita, pensa che all’inizio dell’anno era indietro nelle gerarchie. Non giocava, faceva fatica. Nonostante fosse il capitano dell’u-18. Ha lavorato in silenzio e le ha scalate. Poi durante la sosta ha stregato Dionisi, che da lì se lo è portato con sé».
Ma in copertina non ci sono solo loro. Da Kevin Bruno a Flavio Russo e Luca Baldari, match winner della finalissima di ieri sera. «Sentiremo parlare di tanti ragazzi, a Viareggio ci hanno regalato un’altra bella emozione. Da oggi però la testa è già al campionato e al futuro». Ogni giorno è un nuovo inizio. «È importante poi contestualizzare la realtà in cui il lavoro viene svolto. Qui c’è grande attenzione a conti e a bilanci, che non ci ha mai impedito però di lanciare giovani, valorizzarli e ottenere risultati». Facendolo con continuità, passione e cura dei particolari. Sul muro bianco in ufficio c’è ancora spazio per tante altre fotografie.