Il Barcellona è tornato. Il 4-2 in casa dell’Espanyol ha consegnato ai blaugrana la 27a LaLiga della storia. L’ultimo campionato vinto risaliva a tre stagioni fa con Valverde in panchina. Poi le parentesi amare con Setién e Koeman, tormentate da una crisi economica e sportiva. Tra risultati e addio di Messi. Infine lui, Xavi, che la storia del Barça l’ha scritta con 767 partite e 25 trofei da centrocampista.
Domenica è diventato il sesto nella storia a vincere un campionato con il Barcellona, prima da giocatore poi da allenatore. Tradizione. E se il successo passa per certezze come ter Stegen e Lewandowski o per giovani stelle del calcio internazionale come Gavi e Pedri, c’è una ragione più profonda ed è tutta di Xavi: il tradimento del dogma de La Masia, il 4-3-3.
Xavi e la svolta col passaggio al 4-2-3-1
Statistiche e numeri parlano chiaro: 85 punti in 34 gare, secondo miglior attacco de LaLiga (64) e miglior difesa con appena 13 reti subite e 25 clean sheet. La miglior difesa d’Europa. Poi, lì davanti Robert Lewandowski: capocannoniere in Spagna che, con 21 centri, ha segnato almeno 20 reti in 11 dei suoi ultimi 13 campionati. Dal polacco è arrivato il 32,8% dei gol blaugrana in questa LaLiga. Diciamo, abbastanza.
Il trionfo blaugrana passa da lui e dai tanti giovani della squadra, lanciati, stimolati e cresciuti con Xavi nell’ultimo anno e mezzo. Gavi, Pedri, Baldé, Fati e per ultimo Yamal, tra tutti. Lo spagnolo ha rimesso al centro del progetto chi era finito ai margini, come Frenkie de Jong. Merito del cambio modulo, merito del coraggio di Xavi e del suo Barcellona, la 2a squadra più giovane de LaLiga con un’età media di 26,1.
La svolta è arrivata lo scorso 23 ottobre. 4-0 contro il Bilbao grazie a un innovativo 4-2-3-1. Fuori un attaccante, Raphinha, dentro de Jong, abbassato sulla linea di Busquets. Un duo complementare: lo spagnolo con più compiti difensivi, l’olandese libero di spingere e avvicinarsi a Pedri, spostato sulla trequarti, e a Gavi, schierato come ala sinistra. Accantonare il 4-3-3 sembrava un sacrilegio, e invece si è rivelato essere la soluzione.
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Il 4-3-3 a Barcellona è uno dei dogmi. Dalla cantera alla prima squadra: tutti giocano con quel modulo. Lo stesso Xavi, entrato nel vivaio blaugrana a 11 anni, ci ha giocato fino al 2015. E con il 4-3-3 era iniziata la sua avventura da tecnico del Barcellona il 6 novembre 2021. A Barcellona è più di un modulo, è filosofia. Ma se la prima stagione da allenatore del club si è chiusa con 0 titoli e il crollo in Europa League contro l’Eintracht, la seconda iniziata sempre sottotono con l’eliminazione ai gironi di Champions, necessitava di alcuni stravolgimenti. Lo si era capito già dall’estate: niente spese folli, ma acquisti mirati che risolvessero i problemi strutturali degli ultimi anni.
«Il cambio modulo, per me, è stata la svolta»
Il passaggio al 4-2-3-1 non è stato improvviso né applicato senza esitazioni. È stato un’alternativa fino al 3-1 in Supercoppa di Spagna contro il Real Madrid, usato a sorpresa per battere i campioni d’Europa. Domenica dopo l’Espanyol, durante la festa, è stato Pedri a sottolineare il valore della scelta di Xavi: «Il cambio modulo, per me, è stata la svolta. Mi sono avvicinato a Lewandowski e alla zona di maggiore influenza offensiva. Ho iniziato a muovermi di più in una zona calda per gol e assist. E i frutti si sono visti: il Barça è campione».
Già. Il Barça è campione. Ma è solo l’inizio: non sarà concesso un altro fallimento in Champions League. Intanto, però, Laporta si è convinto: nel marzo 2021 aveva definito Xavi ‘acerbo’. Ora, è campione di Spagna. Xavi a inizio anno ne era sicuro: «Con questa squadra dobbiamo vincere LaLiga. Sarà una fottuta guerra: dovete dare la pelle anche per chi non gioca. Essere al Barça è un privilegio. Dovete morire sul campo». Questione di coraggio. Lo stesso con cui lui ha tradito il credo de La Masia.