Ogni volta che torna a Roma capita che qualcuno lo fermi per strada. «Mi hai regalato la serata più bella della mia vita. E pensa che dallo stadio stavo anche andando via». La memoria va subito al 21 aprile del 2001, quando un guizzo di Lucas Castroman regalava alla Lazio il pareggio in extremis nel derby contro la Roma di Capello. «Stankovic mentre esultavo mi urlava, dicendo che non sapevo cosa avevo fatto. L’ho realizzato con il passare del tempo. Come vedi, ancora oggi a Roma mi fermano mentre cammino e lo ricordano. Se ripenso alle sensazioni di quel giorno mi viene da piangere». Lucas se chiude gli occhi probabilmente sente ancora l’urlo della nord.
Castroman risponde da Luján, provincia di Buenos Aires a un’ora di macchina dalla capitale Argentina. Ha un italiano impeccabile, quasi con accento romano. «Il vostro paese è una seconda casa per me, che ci vuoi fare». Con il calcio per tanti anni ha detto basta, reinventandosi. «Fermarsi non è mai stata un’opzione. Mi sono sempre dato da fare. Per un lungo periodo il pallone non mi è mancato, ora si. Mi piacerebbe tornare ad allenare. In Argentina dovrebbero avere un po’ più di pazienza, dare tempo di sbagliare e costruire. Io avevo avuto una panchina due anni fa, ma dopo tre partite ci hanno mandato via. Non si aspetta è così è difficile farsi notare».
«Sei anni fa mi sono dedicato al mio negozio di famiglia»
Ma il calcio è solo una delle tante vite di Castroman. «Sei anni fa mi sono dedicato al mio negozio di famiglia. Vendiamo dai Santini al mate in bottiglia. Puoi trovare di tutto. Sono state scritte tante cose false. Io non sono tornato perché avevo bisogno di soldi, ma perché mio padre ha avuto un cancro e mi sono dovuto rimboccare le maniche per aiutare la mia famiglia. Sono cresciuto così, con un gran senso di responsabilità verso i miei genitori. Da noi le difficoltà erano tante, mangiavamo il pane duro per giorni e spesso non c’era il cibo per tutti. Il giorno del mio esordio con il Velez mio padre piangeva, sapeva che poteva essere una via di fuga. È così è stato. Raccontarlo oggi mi riempie di orgoglio».
«Aveva quindici anni e non lo prendeva nessuno»
Mentre si parla di calcio il pensiero non può non andare al Mondiale vinto in Qatar da Messi&co. «La vittoria dell’Argentina mi ha aiutato a riavvicinarmi il calcio, l’ho seguita con grande trasporto. Poi che te le dico a fare, Leo è di un altro pianeta. Pensa io l’ho conosciuto vent’anni fa, in nazionale, in uno degli ultimi raduni prima del mondiale del 2002. Lui aveva 15 anni e già non lo prendeva nessuno». Qui gli scappa una risata. «Diranno che non è vero , ma andò così. Samuel, Zanetti, Cambiasso e Ayala, tutti al bar. Non lo tenevano credimi. Mi ricordo che ci fu un allenamento in cui Walter – Samuel, campione d’Italia in carica con la Roma – lo ha letteralmente inseguito per tutto il campo senza prenderlo mai. Era clamoroso».
Nella nazionale albiceleste Lucas ci ha sempre creduto. «Mandai un messaggio ad Ayala, che ora fa l’assistente di Scaloni, dopo la sconfitta in finale di Copa America. In Argentina li volevano tutti cacciare. E invece hanno avuto ragione loro. Scaloni è un modello. Ha saputo cogliere un’opportunità, toccando i tasti giusti. Anche a me piacerebbe trovare un bel progetto, ho tanto da dare e da insegnare ai ragazzi».
Maradona e le canzoni per i bambini
Castroman si apre, scava nei ricordi e nel parlare di Messi e Scaloni, viene fuori il nome di Maradona. Qui si ferma, sorride e riparte. «Per me il calcio è Diego, poi vengono gli altri. È e sempre sarà. Io mi ci sono rivisto anche per il senso di rinascita con e grazie al calcio. Ti racconto questa per farti capire che uomo era Maradona. Io avevo una fondazione che dava da mangiare ai bambini in difficoltà e spesso la sera mi trovavo a cantare per loro. Lui varie volte è venuto a cantare con me. E nessuno glielo aveva chiesto, non sono nemmeno come lo fosse venuto a sapere. Io l’ho conosciuto davvero, nonostante su di lui ne abbia lette di tutti i colori. Credimi era un uomo unico e non solo come giocatore».
«Ho fatto l’esordio in nazionale nel giorno dell’addio di Diego. Pensa che strana la vita. Nel pomeriggio più bello della mia vita saluta la nazionale il mio idolo di sempre. L’ho rivisto poi a una partita di beneficenza. Io giocavo mezzala, davanti avevamo lui e Messi. Uno spettacolo».
«Torno in negozio, stanno arrivando i primi clienti»
Oggi quindi si divide tra la famiglia, il negozio e lo studio per farsi trovare pronto in caso ci fosse un’opportunità. «Guardo partite a ciclo continuo e aspetto una panchina. Gioco anche tanto a Padel e mi godo i miei figli. Poi amo viaggiare. Il calcio mi ha fatto girare il mondo, vorrei girarlo con i miei figli e fargli conoscere altre culture. Nessuno di loro gioca a calcio. Io il calcio l’ho sofferto e sono contento che loro facciano altro. Per me era un modo per uscire dalle difficoltà e regalare un futuro alla mia famiglia. Sono felice che per loro la situazione sia diversa».
Dopo mezz’ora di chiacchierata Lucas ci saluta. «Torno in negozio, stanno arrivando i primi clienti». E chissà che qualcuno di loro non gli ricordi quel gol per cui a Roma ancora lo fermano per strada. Lui adesso ne ha capito l’importanza.