‘Voi andate in campo, tu resta qui. Devo parlarti’. C’era un tempo in cui Guardiola, alla prima esperienza in panchina con la seconda squadra del Barcellona, prendeva i ragazzi da parte e gli spiegava cosa fare per diventare grandi. «Con me lo faceva spesso. Mi ripeteva ‘punta l’uomo e divertiti. Hai le qualità per spaccare il mondo, devi solo metterle in mostra’. Mi dava grande fiducia. È un peccato che le cose poi non siano andate come speravamo».
A parlare è Gai Assulin, la stellina più luminosa del primo Barca di Guardiola, che però non è riuscito a esprimersi quanto e come si pensava. Non solo per colpa sua. Oggi però non ha rimpianti, anzi ricorda quei tempi con il sorriso, ritenendosi fortunato per averli vissuti. «Il Barcellona è il miglior club del mondo, la Masia è uno spettacolo. Io quando sono arrivato ho fatto fatica perché lingua e abitudini erano diverse, ma loro fanno di tutto per metterti a tuo agio e farti pensare solo al campo». Questione di metodo. I tanti ragazzi che escono anno dopo anno non sono nient’altro che la fotografia perfetta di un modello che funziona ed è destinato a durare nel tempo.
«Messi, De Bruyne e il saper lasciare libero il talento»Assulin con Guardiola stringe un legame speciale. «Mi diceva di stare largo a sinistra, poi una volta presa la palla mi invitava a provare la giocata. È un allenatore metodico sotto tanti aspetti, quasi ossessivo nella ricerca della perfezione, ma allo stesso tempo in grado di lasciare libero il talento. Guarda Messi nel suo Barca o De Bruyne nel City. Sono geni del pallone che non puoi ingabbiare nella tattica e lui lo aveva capito già quando allenava noi».
Mentre racconta il suo Guardiola allenatore, Gui si lascia andare tra aneddoti e ricordi. «Era giovane, ma già super preparato. Sapeva tutto di tutto. E poi aveva una grande qualità, ovvero quella di saper combaciare la parte tecnica con quella psicologica. Soprattutto quando allenì i ragazzi, prestare attenzione alla testa è fondamentale. Lui lo ha capito e se lo è portato negli anni. Se ci fai caso chiunque lo abbia avuto – tranne rarissime eccezioni – gli vuole bene e lo ricorda come un maestro. Non è un caso credimi».
«Giocate come sapete, io non devo più dirvi nulla. Non scelgo neanche la formazione, gestitevi voi»
Pep smette di giocare nel 2006. Ha 37 anni, ma riesce a stare fermo. Si mette subito in gioco e centra subito la qualificazione in Segunda division con il Barcellona B. «Funzionavamo come gruppo perché avevamo tutto. Guardiola poi sapeva entrarci nella testa, era come fosse un compagno. Ci trasmetteva calma e sicurezza. Una volta, prima di una finale, entrò in spogliatoio e ci disse ‘Giocate come sapete, io non devo più dirvi nulla. Non scelgo neanche la formazione, gestitevi voi. Tanto siete i più forti’. In campo succedevano esattamente le cose che aveva previsto lui durante la settimana. Noi facevamo girare il pallone e poi imbucavamo buttandoci negli spazi. Era veramente un piacere vedere quella squadra giocare».
«Leo in spogliatoio era timido, ma in campo era già un riferimento»
Quando si parla di Barca, non si può non nominare Leo Messi, compagno di tanti allenamenti in prima squadra. «Abbiamo quattro anni di differenza, lui è dell’87 e io del ‘91. Quando sono salito io in prima, Leo era già leader. Me lo ricordo molto timido in spogliatoio, però era uno che sapeva aiutarti. Si vedeva che ti capiva e che ci era passato anche lui da poco. Comprendeva lo scotto del passaggio dalla seconda squadra. In campo poi ti dava sicurezza, sapevi che bastava darla a lui e risolvevi ogni problema. Mi spiace non averci mai giocato insieme, perché il giorno del mio esordio ero in campo al suo posto…».
«Magari stasera gli manderò un messaggio per fargli i complimenti»
Dopo il Barcellona, con cui raccoglie solo un’oretta in Coppa del Re, Gai sceglie l’Inghilterra. Destinazione City, altro aggancio con Guardiola. «Parlavo con Yaya Toure che era stato mio compagno al Barca. Ero partito con le migliori intenzioni, ma non era il City che vedete ora. Era tutto all’inizio. L’allenatore non mi vedeva, sono stati due anni difficili. Adesso però sono contento di vederli in finale di Champions. Sono contento anche per Pep. Ieri ho scritto al suo vice e al fisioterapista, che sono rimasti gli stessi di quando eravamo a Barcellona. Magari stasera, se tutto dovesse andare bene, gli manderò un messaggio per fargli i complimenti».
Oggi Gai ha 32 anni ed è alla ricerca di una nuova avventura. Ha partecipato alla Kings League di Pique e lo scorso anno ha giocato in Italla, a Crema, senza trovare però continuità. «Cerco un’opportunità per dimostrare il mio valore. Restare in Italia mi piacerebbe. Purtroppo negli ultimi anni ho subito tantissimi infortuni che mi hanno frenato. Ma ora sto bene e sono pronto a tornare in forma». Magari ripensando a quando Guardiola gli chiedeva di dribblare, divertirsi e puntare l’uomo. Chissà, vedendolo stasera in finale di Champions, quanti “what if” gli verranno in mente. Peccato.