Gli elicotteri che volano su Piazza Duomo, probabilmente per portare Mattarella o la Meloni, a noi che eravamo lì e che raccontiamo lo sport, fanno tornare la memoria a quel 18 luglio dell’86, Berlusconi che atterra sull’Arena Civica per iniziare ufficialmente la sua presidenza al Milan. Lo fa sulle note della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, colonna sonora di Apocalypse now. E un’apocalisse fu per davvero.
Gli davano del matto, del resto chi arriva per primo su tutto è sempre solo all’inizio del cammino. Come si è alla fine del viaggio. Eppure oggi erano in tanti li a fargli compagnia. Erano in 10mila, non ci si muoveva in Piazza Duomo. La cerimonia è stata sobria ed elegante. Sembrava una via di mezzo tra un set delle sue soap opera e un documentario sulla storia d’Italia.
Ha unito tutti. Proprio lui che più di ogni altro ha diviso. Personaggio controverso per antonomasia, avversario delle mezze misure. Con lui o contro di lui. Ha fatto discutere, indignare, gioire, festeggiare. Ma non oggi. Oggi il sentimento era uno solo, almeno nei presenti, comune. Dagli anziani ai bambini, tantissimi in prima fila nonostante il caldo torrido. Con un senso di gratitudine che ha vinto su tristezza e nostalgia.
«Silvio è stato un uomo del fare. Il bene del paese lo aveva a cuore. È unico e purtroppo irripetibile”. Così lo ha ricordato il presidente della Lazio Claudio Lotito. Del mondo dello calcio c’erano Zhang, De Laurentiis, Pessina, il capitano del suo Monza, Boban, Marotta e Galliani. Braccio destro e fido scudiero da sempre.
Erano presenti tanti amici, molti non hanno parlato, ma quel che pensavano si leggeva sui loro volti, negli sguardi, nei modi di evitare una domanda. Non con spocchia, ma quasi chiedendo compassione. Oltre che rispetto.
Il Duomo di Milano, illuminato dal sole, voleva su di sé tutti gli occhi del paese. L’esterno sembrava uno stadio. C’era quel rumore da brividi che ti entra dentro quando tante persone insieme cantano la stessa cosa. La folla ha intonato cori per quattro ore e passa. C’era anche la curva sud del Milan. Striscioni, bandiere, stemmi, cartelloni, scritte. Di tutto. Certi che lui avrebbe apprezzato lo spettacolo. Anche perché quando si parla di trofei, sport e televisione si parla di lui e questo è un dato di fatto.
Sembrava una scenografia preparata da lui. Che sapeva tutto di tutto e che oltre al televisore è stato la televisione. Luci, bei vestiti, facce pulite. Lui voleva che i suoi si facessero tutti la barba. E quando vedremo uno sbarbato e senza tatuaggi penseremo a lui. Che è un tatuaggio sulla storia d’Italia.