a cura di Alessandro Lunari

22 nazionalità differenti e 4 squadre. Il Santa si espande: «Ci manca giusto l’Oceania»

E la lotta al razzismo richiede un cambio di regole.

La rivendicazione di milanesità non è passata di certo inosservata. In questi anni, purtroppo, sono stati molti gli episodi di razzismo da dover fronteggiare, dentro e fuori dal campo: «All’inizio avevamo tanti ragazzi dall’Africa subsahariana e hanno ricevuto davvero tanti insulti. Noi da quelli abbiamo preso forza: li abbiamo fatto gli screen e li abbiamo pubblicati sui social. Effetto boomerang: c’era sempre più gente pronta a sostenerci, a Milano e non solo. Siamo partiti in 7 e ora abbiamo 4 squadre con 120 atleti in totale».

La lotta al razzismo è proseguita sempre di pari passo alla crescita della realtà: «Se un ragazzo dell’Africa subsahariana deve affrontare episodi di razzismo da solo, va in difficoltà. Non sa come reagire. Qui no: se un calciatore o tifoso avversario si azzarda a rivolgergli insulti razzisti, c’è una squadra intera pronto a difenderlo. Una reazione corale, il ragazzo non è solo.

 

Siamo nel 2023 ma succede davvero troppo spesso, anche nel settore giovanile dove i genitori avversari si danno un gran da fare… Sono cose spiacevoli. Ora oltre a noi, abbiamo 100 tifosi al seguito e gli episodi sono diminuiti, credo sia per quello però. Senza di loro, capiterebbe ancora di frequente».

 

Il mantra del Santa è uno: creare una famiglia grazie al calcio. Fino a due anni fa c’erano 22 nazionalità differenti. Il progetto e la composizione della rosa varia sistematicamente, proprio come i flussi migratori: «All’inizio c’erano molti richiedenti asilo dell’Africa subsahariana, poi c’è stato un cambiamento dei Paesi di provenienza. I nuovi sbarchi in Italia arrivavano dall’Africa settentrionale e così anche la nostra rosa è cambiata. Ora abbiamo una grossa componente dall’America Latina e perfino dall’Europa orientale. Ci manca giusto l’Oceania, anzi lanciamo un appello: ‘Calciatori australiani, se volete noi ci siamo’. Almeno mettiamo la bandierina anche in quel continente».

 

 

Fra tutti gli atleti, oggi, si sono anche molti italiani. Nel primo campionato erano solo 3, poi la crescita della squadra e la solidità del progetto, integratosi sempre più nel tessuto sociale, ha fatto sì che il gruppo si allargasse. E poi, come ci suggerisce Davide, tutti abbiamo una storia di migrazione: «Magari arrivano da altre città, si sentono soli e spaesati. Avere una squadra come strumento di socializzazione è importantissimo. Conoscere 60 persone in una volta… non so quanto spesso capiti. Avrebbero fatto fatica».

 

In questi 5 anni, il Sant’Ambroeus è cresciuto di stagione in stagione. Alla prima stagione in FIGC nel 2018/19, è seguita una seconda annata – ancora senza un campo e un centro sportivo di proprietà – che è stata interrotta a metà dal Covid. Nel 20/21 il campionato viene sospeso dopo 5 giornate, ma per il Santa è un bel passo avanti: la società entra in possesso del centro sportivo. Nel 2021/22 nasce il CSI – che semplifica il tesseramento di persone con complicazioni dal punto di vista della regolarità sul nostro territorio – vincono il campionato di Terza Categoria e iniziano gli allenamenti della squadra femminile che parte a tutti gli effetti nella passata stagione.

 

Quest’anno, poi, è arrivata la quarta squadra, quella Juniores, con ragazzi del 2005 e del 2006: «Sono ragazzi del quartiere, magari di seconda o terza generazione di immigrati o italiani. Avere un nostro centro qui a Gorla ha cambiato tutto: gli affitti del campo costano molto, giocare a calcio è bello ma mantenere una squadra costa. E costa anche di più se i tuoi atleti hanno difficoltà economiche e vengono principalmente da centri d’accoglienza. Il campo di Gorla ci ha legato al territorio: è la nostra casa. Eventi, feste, bar, un punto di ritrovo pure per l’asta del fantacalcio».  La prima squadra, che partecipa al suo 6° campionato FIGC, è intervenuta molto sul mercato, anche grazie al calcio a 5 del mercoledì sera, che fino alla scorsa stagione, era uno spazio per far giocare tutti quei ragazzi non inseriti in una delle rose disponibili. L’hanno detto: «Non lasciamo nessuno indietro».

 

 

La lotta al razzismo chiede un cambio delle regole. Neanche il COVID ha fermato il Sant’Ambroeus, anzi. In quelle stagioni il progetto si è ampliato con centro sportivo, nuove squadre e tanti nuovi atleti. I problemi principali hanno riguardato ciò che c’era fuori: «I ragazzi hanno avuto molti problemi visto che fra giovani e stranieri il lavoro precario caratterizza tutti. Il gruppo è rimasto, il progetto non ha subito grosse crisi, ma in molti hanno perso il lavoro. Per fortuna fra volontariato e associazioni sul territorio siamo riusciti a dare il nostro contributo».

 

Il vero problema dal 2018 è, però, un altro: il tesseramento dei calciatori, come ci precisa Daniele. «Abbiamo dovuto ritardare di diverse giornate l’inizio del nostro campionato perché a volte serviva molto tempo per tesserare alcuni atleti. L’iter è complesso e lungo fra Roma, Paese d’Origine e comitato della Lombardia.

 

Nel 2023 ci sono tra le 700mila e il milione di persone irregolari in Italia. Tutta gente che non ha accesso a una Federazione ufficiale e quindi alla pratica sportiva. Ma il valore umano di una persona non deve essere limitato da un pezzo di carta. E poi ci sono i minori non accompagnati: a loro, la FIFA vieta di giocare a calcio. Questa è una cosa grave: il regolamento italiano ha aperto al loro tesseramento ma con parametri molto restringenti».

 

La situazione è intricata fra norme FIFA e FIGC: sono molti i punti da analizzare. La realtà di tutti i giorni, però, è un’altra e tende a complicarsi molto: «Abbiamo 6 ragazzi in Juniores molto talentuosi. Si allenano, sono disciplinati ma non possono giocare. Che senso ha fare le campagne #NoToRacism se poi ci sono discriminazioni strutturali all’interno della tua stessa Federazione?


Anche perché poi non vengono qui i responsabili FIFA e FIGC: la situazione viene lasciata ai dirigenti. In un contesto come il nostro, riusciamo a spiegare le regole e i limiti, e ci sforziamo affinché si sentano comunque accolti. Ma altrove? Un minore non accompagnato viene escluso e abbandonato.

 

Certo, queste regole sono fatte per limitare la tratta di minori in ambito sportivo. Ci mancherebbe. Ma di fatto, così, limiti la partecipazione alla pratica sportiva di tutti i ragazzi. Qui a Milano sono 1300: è un problema. Soprattutto senza cambiare le leggi o riempire i vuoti normativi».

 

Il Sant’Ambroeus fa sul serio. Per la comunità, per Milano e non solo. Simbolo di un calcio popolare che sta scomparendo.