Undici anni fa il Livorno batteva l’Empoli nella partita decisiva per la promozione in Serie A. Ieri, invece, ha battuto il Seravezza Pozzi in Serie D, approfittando della sconfitta della Pianese e giungendo a -1 dalla vetta del girone E di Serie D, dove soltanto la vittoria del campionato assicura il passaggio in C.
Nonostante questa enorme distanza di tempo e di categoria, tra le costanti ce n’è una in particolare, in campo: Andrea Luci. Il capitano che, tra meno di un mese, festeggerà 39 anni. Dal 2010 al 2020 con la maglia amaranto, è tornato nel 2022 quando la squadra era in Eccellenza. «Proprio quello in Eccellenza – ci racconta – è stato l’anno più difficile della mia carriera, più di quello in Serie A», e non soltanto per l’aver ritrovato la società a cui ormai appartiene sentimentalmente così in basso: «Ho fatto una fatica tremenda, nonostante arrivassi dai professionisti. È completamente un altro modo di giocare, pensavo ad alcune giocate che però erano irrealizzabili e alla fine sbagliavo pure io. Devi rapportarti con giovani che sono alla prima esperienza e aiutarli, fargli capire le dinamiche».
Era da un anno e mezzo che Luci non vestiva la maglia del Livorno: «Dal 2020 ero alla Carrarese, perché dopo il fallimento amaranto c’era un bivio: o smettevo, o accettavo di spostarmi da Livorno dopo dieci stagioni. Ho accettato la sfida e ho trovato un ambiente fantastico. Ma già dopo un anno, il Livorno mi ha chiamato. Solo che avevo un accordo con la Carrarese e non mi sembrava giusto. Mi avevano anche dato la fascia di capitano. Dopo qualche mese, a gennaio, si è ripresentato l’occasione. Era da un anno e mezzo che vivevo lontano dalla famiglia, che era rimasta qui, e ho preso la decisione di tornare. Con dispiacere, perché non mi era mai capitato di andare via a metà stagione dopo aver preso un impegno, quando ne prendo uno lo porto fino in fondo».
Il Livorno ora è in Serie D e punta alla promozione. Il sogno di Luci è proprio «fare un’altra presenza tra i pro con questa maglia prima di smettere». Sta bene, sente qualche acciacco alle articolazioni ma è titolare. «A inizio febbraio eravamo a -9, ora a -1. Dobbiamo continuare così. Tutti vorrebbero riportare il Livorno in C. Dopo gli ultimi due anni di gestione-Spinelli, dove la tifoseria aveva mollato, quando sono tornato ho ritrovato entusiasmo e li ho visti belli carichi. In Eccellenza c’erano anche 8/9mila persone allo stadio, purtroppo quelle partite le abbiamo perse. Soffrivamo più noi la pressione rispetto agli avversari, che invece erano carichi di affrontare un club così importante. Tanti di noi non erano abituati. Quando ci spostiamo in trasferta, è capitato che ci fossero 600 persone in stadi minuscoli e tanti hanno dovuto rinunciare, creando problemi anche all’ospitalità delle altre squadre che non potevano organizzarsi. Ma ci hanno trascinato». Anche in D non stanno mollando: «Ci sono 3/4mila persone allo stadio con costanza, ma in città su 100mila abitanti, 90mila parlano sempre della squadra di calcio. Vogliamo riportare il professionismo e lo stadio pieno».
C’è poi una rivalità, quella con il Pisa, «che è normale dato che dista 30 chilometri. È giusto che ci sia la presa in giro, c’è una grande rivalità e attualmente sono in un campionato migliore. Lo sfottò è il bello del calcio, ho tanti amici a Pisa e se rimane nel rispetto, va tutto bene. I derby sono belli da giocare, sia in casa che fuori. Purtroppo quando eravamo in B o in C, raramente le rispettive tifoserie ospiti sono state presenti per scelte dall’alto. Quel pezzo mi è mancato purtroppo. Impossibile però cancellare la serata della promozione in A contro l’Empoli». Adesso lo sforzo nel rush finale: «Al momento voglio continuare, a giugno vediamo. Se smettessi, mi piacerebbe restare nel Livorno. Ho preso il patentino UEFA B, ne prenderò altri. Mi vedo più in campo che nella dirigenza. Ma vediamo cosa mi offrirà la società».
Con la speranza di ritrovare gli amaranto, presto, nelle categorie più alte.