Dopo tre anni e la delusione della passata stagione, il Parma è tornato in Serie A. La città e la squadra sono ancora in festa fra gioia e commozione. La stessa di Cristian Ansaldi che ha annunciato di lasciare il club dopo due stagioni: «Missione compiuta: l’obiettivo era riportare il Parma in Serie A e ce l’ho fatta. Ora vorrei tornare in Spagna». Una cavalcata trionfante quella di Ansaldi, il Parma e mister Pecchia. Senza dimenticare il ds Pederzoli, eh.
«Lui lo sa». Il video di Ansaldi con Pederzoli
«Il 26 dicembre, dopo la trasferta a Brescia, ho registrato un video con il nostro direttore sportivo Pederzoli. Diceva: ‘Andiamo in Serie A’. 5 mesi dopo si è realizzato davvero. Porterò per sempre nel mio cuore la promozione con il Parma. Ricordo i pianti dei miei compagni quando abbiamo perso tutto lo scorso anno ai playoff: i sacrifici e gli sforzi fatti erano stati inutili. Ora piangono tutti comunque, ma sono lacrime diverse. Durante la stagione ce lo ripetevamo sempre: ‘questo è l’anno giusto’. Io lo dicevo anche a casa alla mia famiglia: devi sempre crederci. Quest’anno abbiamo vinto segnando molte volte nei minuti finali: è la fortuna dei campioni. L’anno scorso non succedeva mai». Merito di un gruppo forte, con un mix d’esperienza e tanti giovani talenti guidati da Pecchia: «Il mister mi ha sorpreso molto: l’ho conosciuto quando sono arrivato qui a Parma, è una persona con delle qualità incredibili. Con me ha avuto tanta pazienza, devo ringraziarlo di cuore perché mi ha dato tanto. Posso dire di essere cresciuto ancora di più con lui».
Tra i simboli di questo Parma, poi, c’è Adrian Bernabé, un gioiello cresciuto fra Barcellona e Manchester City prima di arrivare in Italia: «Bernabé è un giocatore fortissimo e una persona meravigliosa. Nella mia carriera ho conosciuto tanti calciatori con grande talento, ma che poi hanno trovato come limite la loro mentalità. Se lui, così come altri ragazzi qui a Parma, si pone l’obiettivo di arrivare lontano, può riuscirci davvero. Ora è al Parma e gli auguro di fare benissimo in Serie A, ma se continua così potrà arrivare anche in top club».
La Fede nei momenti difficili
La carriera e la vita di Ansaldi non sono sempre stati in discesa, anzi. L’esterno argentino è stato spesso fuori per infortunio, ma soprattutto ha vissuto un momento complicato nel 2016. Da lì, ne è uscito più forte stringendo ancor di più il proprio legame con la fede. «Quando ero all’Inter nel 2016, i medici hanno trovato un cancro a mio figlio di 5 anni. È stata una delle cose che ha segnato la mia vita. In quel momento pensi: ‘hai soldi, hai tanti amici, ma a che serve tutto ciò se poi la vita da sola ti dimostra che la cosa più importante che hai, cioè tuo figlio, potrebbe andar via all’improvviso?’. In momenti così difficili uno potrebbe mettere tutto in discussione, io invece sono sempre rimasto connesso alla mia fede. Ho sentito una pace incredibile dentro di me. Puoi fare di tutto, ma tanto l’ultima parola spetta a Dio».
Da quel momento Cristian inizia anche a pubblicare sui propri social passi del vangelo per trasmettere la sua connessione con Dio e la religione, andando contro ogni forma di discriminazione religiosa. «Ora sui miei canali social condivido video e passi del vangelo. La mia non è solo fede, ma qualcosa di più: mi sento in relazione con la mia religione. E se posso cerco sempre di aiutare gli altri. Nel 2018 ho deciso di aprire una biblioteca nella mia vecchia scuola elementare. Volevo dare a tutti i bambini l’opportunità di avere sempre un libro fra le mani. Sono una persona semplice, voglio lasciare qualcosa di positivo».
Il Mondiale di Messi
Due anni dopo quel periodo complicato, Cristian viene chiamato dal CT Sampaoli per il Mondiale in Russia: nella Coppa del Mondo del 2018, lui non scenderà in campo ma l’emozione e l’orgoglio di far parte di quella spedizione sarà comunque enorme. L’Argentina uscirà agli ottavi di finale perdendo 4-3 contro la Francia poi campione. La rivincita arriverà dopo 4 anni, nella finale in Qatar. Ansaldi non è fra i convocati ma ha gioito allo stesso modo.
E non solo per l’Argentina: «Ho sofferto tantissimo durante la finale dell’ultimo Mondiale. In questi anni avevamo visto Messi vincere tutto, ma a lui e all’Argentina mancava quello. È stata una cosa particolare, indescrivibile: credo che tutti noi argentini siamo stati felici tanto per Leo quanto per la Nazionale. Nel 2018 Sampaoli mi ha convocato per il Mondiale in Russia: per me è stata la chiusura di un cerchio. Credo che nella decisione del mister abbia influito il fatto che io avessi giocato in Russia per 7 anni. Non me l’ha detto, ma ne sono sicuro. Conoscevo la città, il clima e poi avevo un gran rapporto con tutto il gruppo: dal 2009 in poi ero stato convocato qualche volta. L’anno prima all’Inter mi ero infortunato verso la fine del campionato e così loro in estate avevano acquistato un paio di giocatori nel mio ruolo. Pensavo: ‘Fra 8-9 mesi c’è il Mondiale. Io devo giocare’. Ero rimasto molto in panchina fino a quel momento, così mi dicevo: ‘Se resto qui, non so quanto giocherò’. A 2 giorni dalla fine del mercato, mi chiama Burdisso al Torino. Ricordo di avergli detto: ‘Io vengo, ma devo giocare. Il mio obiettivo è Russia2018’. Così sono andato e ho fatto molto bene tanto da meritare l’Argentina: credo che la vita sia la somma di tante decisioni, ma poi Dio ha sempre un piano per noi».
Le origini italiane e l’arrivo in Europa
Prima del Parma, il Torino appunto. Ma il viaggio di Cristian è costellato di tappe in giro per l’Italia e non solo. Un po’ come quello della sua famiglia: «Il mio bisnonno da parte di mio padre era di Ronco Scrivia, un paesino di 4mila abitanti vicino Genova. L’ho scoperto quando dovevo lasciare l’Argentina per andare al Rubin Kazan in Russia: mio padre e il mio agente hanno iniziato a cercare i documenti per fare il passaporto italiano e velocizzare il trasferimento. Fino a quel momento avevo sempre giocato nel Newell’s Old Boys: mi alzavo la mattina e il primo pensiero era sempre e solo il pallone. Non è stato facile lasciare tutto e andare in Russia, ma quando sei giovane e hai l’opportunità di aiutare la tua famiglia, lo fai e basta. Al Rubin Kazan ho imparato l’italiano grazie a Salvatore Bocchetti. Sono rimasto lì 5 anni, poi sognavo l’Italia o la Spagna ma con una chiamata è cambiato tutto: era Luciano Spalletti. Mi voleva allo Zenit, la squadra più importante di Russia. Ho detto: ‘Ok, facciamolo’. Pensavo di rimanere 4 anni a San Pietroburgo, ma poi è arrivato Simeone».
L’Atlético di Simeone e la telefonata con Javier Zanetti
Fra la Russia e l’Italia c’è infatti una parentesi di un anno in Spagna, a Madrid. Sponda colchonera: «La mia prima partita con l’Atlético è stata la Supercoppa spagnola contro il Real Madrid: vincere un titolo nel derby al Bernabéu è una di quelle cose che non ha prezzo. Simeone è stato uno degli allenatori più importanti nella mia carriera, nonostante io sia rimasto solo un anno a Madrid: come gioca l’Atlético rispecchia esattamente il carattere del Cholo».
Da quel momento inizia davvero l’avventura in Italia.«Dopo quell’annata, sono andato al Genoa da Gasperini: ho giocato molto bene, tanto da attirare l’interesse di Lazio e Napoli. Poi ho ricevuto una chiamata: era Javier Zanetti. ‘Cristian, ti vogliamo all’Inter’. Per noi argentini l’Inter è sempre stata un club particolare, così ho subito risposto: ‘Tranquillo, vengo’. Era un’Inter piena di argentini, un po’ come quella che guardavo in tv quando ero piccolo». Un sogno diventato realtà. Un po’ come la promozione appena centrata con il Parma. Era il suo obiettivo. Ora se ne andrà, dopo aver mantenuto la parola. Il futuro? Un possibile ritorno a Madrid, la città del suo cuore per stare accanto alla sua famiglia.