La storia di Scalera: dal Mondiale u-20 con Barella e Dimarco a professore alle superiori

by Giacomo Brunetti

Dal Mondiale con la maglia dell’Italia alla cattedra del Liceo Volta di Bari a soli 25 anni. Giuseppe Scalera ha vissuto il sogno di tutti: ha esordito con la squadra della propria città contro l’Inter, poi si è trasferito alla Fiorentina con Juventus e Chelsea che bussavano alla sua porta, ha fatto tutta la trafila delle Nazionali giovanili giocando insieme a Barella, Dimarco, Pessina, Mandragora, Cutrone e molti altri. Ha perfino marcato Marcus Thuram in un avvincente Italia-Francia. Alla fine dei conti, però, ha dovuto guardare in faccia la realtà: il calcio e il suo fisico gli hanno voltato le spalle. E lui, con grande consapevolezza, ha assecondato il proprio benessere.

Adesso è tornato a Bari. Scalera ci risponde da lì, perché è lì che si svolge la sua vita: nella città che gli ha dato tutto. È docente di educazione fisica in una scuola superiore e fa il collaboratore tecnico nell’u-16 del Bari. «Ho trascorso 10 anni nel settore giovanile biancorosso e a 17 anni ho giocato la mia prima partita con la prima squadra», ci racconta Giuseppe, classe ’98 che ha vissuto una vita da sottoetà nel calcio, sempre il più piccolo e precoce sia nel Club che in Nazionale. «Si giocava il Trofeo TIM a Bari, c’erano il Milan e l’Inter. Venni aggregato, ma non pensavo di giocare. La prima, contro i rossoneri, la vidi dalla panchina. Poi mi mandarono a scaldare: nella seconda sfida con l’Inter, mi mandano a riscaldare: guardavo Juan Jesus e Guarin, erano dei 4×4, io ero esile. Arriva il momento di entrare, appena ricevo palla c’è Guarin che mi corre incontro come un carro armato, sposto la palla e inizio a correre non per scartarlo, ma per non farmi riprendere da quel treno!».

Arriverà anche l’esordio ufficiale. «Tutti i traguardi della mia carriera sono arrivati in modo inaspettato», sorride Scalera. Come l’esordio con il Bari in Serie B, appunto: «Ero in ritiro con la Nazionale e il giovedì giocai 90 minuti. C’era però il direttore sportivo a vedermi, mi sembrò strano. In prima squadra c’erano Sabelli, che si era infortunato, e Cassani, anche lui ai box. Ma avevo appena fatto tutta la partita, neanche me lo immaginavo. Due giorni dopo in allenamento, Colantuono ci riunì in cerchio per annunciare: ‘Beppe, domani giochi tu’».

Di lì a un mese, arriva l’offerta della Fiorentina: sia Scalera che Castrovilli – anche lui talento di quel Bari, un anno più grande di Giuseppe – passano in viola. Il primo in prestito con diritto di riscatto, il secondo in prestito con obbligo. «Sono stati sei mesi incredibili, al termine dei quali purtroppo non è stato trovato l’accordo per rimanere», ci spiega emozionato: «Non mi aspettavo questa opportunità, ho scelto con la testa e non con il cuore, perché stavo lasciando la squadra dei miei sogni per un’opportunità incredibile, a Firenze era tutto perfetto, facemmo un grande campionato e perdemmo la finale Scudetto soltanto contro l’Inter di Pinamonti, con cui ho giocato in Nazionale e che mi prendeva in giro per questo. Eravamo forti: c’erano anche Sottil e Ranieri, che ora giocano lì».

Dall’u-15 all’u-20, Scalera ha giocato in tutte le selezioni giovanili italiane. Disputando addirittura nello stesso anno l’Europeo u-19 e il Mondiale u-20, sempre da sottostà: «Ero a Firenze e l’u-20 aveva delle defezioni, quindi chiamarono me per il Mondiale: l’esperienza più bella della mia vita». In quella squadra c’erano tantissimi calciatori che oggi sono protagonisti in Serie A e in Nazionale: «Giocavamo in stadi nuovissimi, pieni di pubblico, con la gente che ci trattava da star». Scalera era arrivato in Nazionale pur giocando nel settore giovanile del Bari, non accade sovente che un calciatore di un vivaio di B possa vestire la maglia azzurra. E invece lui bruciava tappe su tappe.

«Quel Mondiale u-20 in Corea del Sud è stato fantastico: Pessina teneva un diario di bordo che pubblicava ogni giorno, era una sorta di nostro Gossip Girl in cui scoprivamo i segreti e le sensazioni del gruppo, raccontava la nostra avventura», ci confida Scalera: «Una partita folle fu quella contro la Francia. Nella seduta video il ct mi mostrò il mio avversario: era un certo Saint-Maximin, mi chiesi ‘Come diavolo lo fermo ora questo?’. Era fisicamente enorme e velocissimo, un fenomeno». Inizia la partita: «Ci davano per spacciati, la Francia aveva stravinto il girone. Penso di stargli attaccato, in modo da non potergli concedere spazio per correre in profondità. Primo pallone che tocca, si gira sulla palla in un nanosecondo e mi dà 3 metri. Ok… allora gli concedo spazio almeno poi posso fermarlo ogni volta che si gira: gli arriva palla, ma si allarga e sono costretto al fallo. Capii che l’unico modo per fermarlo era menarlo… vincevamo 2-1, l’allenatore capì che avevo compreso come fermarlo e lo sostituì, io ero esausto ma… entrò un certo Marcus Thuram. Una bestia, un armadio, e io ero stremato. Vincemmo comunque, fu un’impresa». Un altro avversario temibile fu «Lookman, che all’epoca giocava con l’Inghilterra».

Scalera ha giocato con tanti calciatori, appunto, che ora sono in A, come Barella, Dimarco e Cutrone, Mandragora o Frattesi, tra gli altri. «Dimarco era un giocatore splendido anche da ragazzo, un motorino con il piede vellutato. Ricordo che al Mondiale segnò al 90° dalla trequarti su punizione, poi Vido chiuse la partita. Ma senza quel gesto tecnico avremmo perso», ma anche l’altro nerazzurro lo ha colpito: «Dire che Barella fosse un motorino è riduttivo, si vedeva che era un giocatore rispetto a noi. Ho capito che la differenza tra quelli normali e i campioni come loro è, anche, l’essere uomini. Barella e Dimarco lo sono con la U maiuscola. Ero il più piccolo e mi integrarono subito nel loro gruppo, dei leader». Senza dimenticare amici come Melegoni o Pinamonti.

Tutto bello. Poi, dopo la Fiorentina, torna al Bari: «Capii che non avrei trovato spazio con il nuovo allenatore Grosso, quindi chiesi di andare a giocare in prestito e firmai con la Fidelis Andria. Ci salvammo, ma fu una stagione tosta: non pagavano gli stipendi e a fine anno la società è fallita, fu un’esperienza particolare». Tornato a Bari, anche i Galletti erano in odore di fallimento: in ritiro i calciatori non si allenavano e la situazione era tesa. «Sono andato in prestito alla Pistoiese, tornando in C, ma indovinate? Dopo due settimane la società ha avuto problemi nel tesserarmi, il Bari è fallito e quindi anche il prestito è decaduto. Ci hanno concesso gli svincoli il 28 agosto, a 3 giorni dalla fine del mercato. Ho accettato di firmare con il Pescara, sapendo di essere il terzo terzino destro nelle gerarchie e non giocare mai. Ma almeno non sarei rimasto a piedi. A gennaio chiesi però di andare in prestito per fare minutaggio: era tutto fatto con la Sambenedettese, ma l’operazione venne bloccata perché non avrei potuto fare più di 3 trasferimenti in una stagione. Cercai di spiegare che il Bari fallito non avrebbe dovuto contare, con la Pistoiese ero rimasto due settimane! Ma non ci fu niente da fare». 

E qui l’inizio del calvario fisico: «Tornai a Pescara sfinito. Dissi a mister Pillon che volevo scendere in Primavera, almeno avrei potuto fare minutaggio. Alla prima gara mi sono spaccato il ginocchio, e da lì sono susseguite operazioni per problemi fisici tra crociato, menisco… poi l’anno del Covid e si è fermato tutto». A quel punto, a quasi 23 anni, Scalera è a un punto di non ritorno. Era rimasto fermo per due anni e mezzo, scende in Serie D con il Gravina, tornando vicino a casa. «Ma quando assapori quei livelli, tornare giù è dura e anche accettarlo è difficile», quindi «ho deciso che avrei dovuto ascoltare il mio corpo e chiudere anticipatamente la mia carriera». Giuseppe ci confessa: «Mi sono detto: ‘Sai cosa? Sono giovane, posso mettermi a studiare e fare un altro percorso». Si è laureato in Scienze Motorie, prima alla triennale e poi alla magistrale. «Adesso sono un docente all’istituto superiore Volta, i miei alunni mi chiedono quanti anni ho. Ne ho 26, e loro mi chiedono quindi cosa io abbia fatto fino a quel momento. Quando scoprono che ho giocato con Barella, ad esempio, rimangono a bocca aperta e conquistati. Gli altri prof a volte mi scambiano per un alunno, per la mia giovane età», mentre contestualmente Scalera allena i ragazzi dell’u-16 del Bari: «Faccio il vice, ma ti confido un sogno perché non mi pongo limiti: voglio diventare allenatore, arrivare il più in alto possibile, sentire la musichetta della Champions League al San Nicola sarebbe la realizzazione massima».

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