a cura di Giacomo Brunetti

Alla scoperta di Dani Vivian: ‭«Libri, università e judo. Ma soprattutto il mio sogno: giocare nell’Athletic».

A prima vista potrebbe sembrarti una partita degli anni ’80. Fisico longilineo, asciutto, una grande eleganza nella corsa. Uno stile di difesa corpo a corpo. Tutto intorno una marea di tifosi, quasi completamente vestiti di rosso e bianco. E invece sono semplicemente l’Athletic Club e uno dei suoi leader: Dani Vivian. È nato nel 1999 a Vitoria, a pochi bassi dalla Biscaglia, la regione in cui si trova Bilbao, nel cuore del Paese Basco. Quando abbiamo iniziato l’intervista, gli abbiamo chiesto cosa conoscesse dell’Italia. Il destino ha voluto che l’unica città che ha visitato, sia proprio quella da cui passa un momento cruciale della sua stagione: la partita contro la Roma. «Mio fratello ha fatto l’Erasmus nella vostra capitale, ho avuto modo di visitare più volte tutti i luoghi più importanti, come il Colosseo», ci racconta. Da grande, invece, qualche mese fa ha visto lo Stadio Olimpico, nella prima fase della competizione: un 1-1 molto duro, «una partita molto difficile che abbiamo giocato meglio nella seconda parte, ma una vera e propria battaglia: sono uscito dal campo con un taglio in faccia».

 

Ma ci torneremo più tardi. Perché oltre ad aver vinto la Coppa del Re con il suo Athletic nella passata stagione, alzandola al cielo dopo 40 anni di astinenza, il difensore ha vinto l’Europeo con la Spagna nella scorsa estate. Non solo: è un grande amante della lettura e dello studio; dopo aver concluso il suo percorso in Contabilità e Finanza, adesso ne ha iniziato uno nuovo. «Mi è sempre piaciuto studiare e allargare i miei orizzonti, fin da quando andavo alle superiori: uscivo di casa alle 7:30 e rientravo alle 22 dopo gli allenamenti, e mi rimanevano comunque da fare i compiti. Ma ce l’ho fatta per ambizione», poi è riuscito a proseguire nonostante la carriera: «Mi sono iscritto a un’università che mi potesse permettere di gestirmi gli orari, soprattutto perché siamo spesso in viaggio e ci sono lezioni che vanno seguite, come quelle di matematica ed economia. Ho fatto questo ‘grado’ di due anni e ne ho iniziato un altro». Ha preferito fare un percorso più corto per potersi dedicare a più materie.

 

 

Qualche mese fa, l’Athletic lo ha coinvolto tramite la propria fondazione per una lezione nelle scuole: «Ho fatto parlare i ragazzi per ascoltare le loro sensazioni, le loro preoccupazioni e ciò che pensavano della crescita. Ho fatto un paragone con le metamorfosi di Kafka, anche se non è uno dei libri che più mi ha appassionato». Adesso «sto leggendo ‘I miei martedì con il professore’», un libro che racconta di una storia vera, quella di Mitch Albom, giornalista di successo impegnato nella sua frenetica routine quotidiana, che si ritrova a riflettere sulla propria vita e sui suoi valori, quando vede in televisione un’intervista al suo vecchio professore universitario, Morrie Schwartz. Scopre così che Morrie è malato terminale di SLA, la Sclerosi laterale amiotrofica, e decide di visitarlo ogni martedì per trascorrere del tempo con lui e imparare le sue lezioni di vita.

 

È uno che nello spogliatoio parla di tutto, «dall’economia all’architettura, fino alla psicologia», ed è fortunato «perché siamo uno gruppo che interagisce molto anche su temi che escono fuori dal nostro centro sportivo». Come di judo, la disciplina che Dani Vivian ha praticato nei suoi primi anni di vita parallelamente al calcio: «I miei genitori volevano che facessi qualcosa di complementare al pallone, e il judo mi ha aiutato perché non era uno sport collettivo come l’altro, ma ero da solo. L’ho sfruttato molto per il calcio, so ancora fare tutte le mosse, ti assicuro che mi ricordo tutto anche se non posso praticarlo!». Gli è rimasto veramente dentro: «È meraviglioso, ti aiuta tanto nel corpo a corpo, nel migliorare i movimenti e stare attaccato all’avversario». Insomma, consiglia «a tutti i bambini di farlo». Dicono di lui che è uno dei pochi difensori che mette la testa dove gli altri non lo farebbero mai: «Sì, ma non è per il judo, quello è puro istinto!».

 

 

Alcuni mesi fa abbiamo intervistato Mikel Gonzalez, direttore sportivo dell’Athletic. Ci ha raccontato approfonditamente come funziona il sistema del Club, che gioca solo con calciatori baschi, ma non è mai retrocesso e continua a vincere. Una struttura interna enorme e incredibile, che Dani Vivian vive da calciatore: «Sono arrivato qui dalle giovanili del Santutxu, una squadra dilettantistica, e mi hanno inviato in prestito a una delle seconde squadre, ovvero il Baskonia. Poi sono passato al Bilbao Athletic, l’altra seconda squadra, in terza serie, e dopo un prestito fondamentale al Mirandés in Segunda División sono finalmente arrivato in prima squadra, e da lì è iniziato un cammino incredibile». Passo dopo passo, «ho realizzato il sogno di tutti i ragazzini di questa zona, perché se nasci qui il tuo obiettivo è arrivato all’Athletic, tutti i bambini lo vogliono, è una filosofia conosciuta e riconosciuta in tutto il mondo che ti porta a questo, un sentimento di appartenenza che lo rende speciale. L’Athletic è un modo di vivere traslato nel calcio».

 

La prima volta in cui lo hanno chiamato in Nazionale, era in pasticceria con suo padre per acquistare una torta per il compleanno della madre. Sapeva che la convocazione sarebbe uscita alle 12:30, quindi era andato un’ora prima per poter essere a casa in quel momento e poter leggere subito se il ct avesse incluso il suo nome: «Un ‘momentazo’ di tensione. Il mio telefono continuava a ricevere messaggi, ho abbracciato mio padre. Mia madre mi ha detto che miglior regalo non avrei potuto farglielo!». Da quel momento, è iniziata la sua corsa alla vittoria dell’Europeo: «Avevo comprato un biglietto per il concerto di Bruce Springsteen per quel periodo, con la speranza di non andarci mai. Ho recuperato a Londra. Siamo in un buon momento come Nazionale».

 

 

Durante EURO2024 ha avuto modo di affrontare l’Italia nella fase a gironi. «Quelle contro gli Azzurri sono sempre partite durissime, ce lo diciamo anche nello spogliatoio. All’Europeo noi stavamo bene, ma non è stata una passeggiata. Mi piacciono molto Barella e Tonali come calciatori italiani». E con lui c’era Morata, che con l’Italia ha sempre avuto un legame speciale: «Anche quando ha vissuto momenti meno positivi, ci siamo sempre stati l’uno per l’altro come squadra. Credo che sia normale avere dei periodi in cui le cose non vanno come speri, e lì devi trovare persone che ti fanno capire che sbagliare o non essere sempre al massimo fa parte della normalità. A volte si addossano troppe responsabilità a una singola persona. L’importante è che ognuno di noi si senta sempre voluto».

 

In occasione dei festeggiamenti per la vittoria della Coppa del Re, Iker Muniaín ha iniziato a cantare la canzone che un gruppo di ragazzi gli ha dedicato – «Yo no soy delantero, yo soy central» – ma lui si vergogna di cantarla. Racchiude appieno la sua essenza come giocatore. In un gruppo, quello dell’Athletic, che definisce speciale: «Faccio un esempio: Ander Herrera ha vinto ovunque, ma mi ha detto che niente è come farlo a Bilbao, con questi colori. E poi ci sono i fratelli Williams, che hanno un cuore d’oro. Non sono compagni… sono fratelli, specialmente quando si becchettano, si vede proprio chi fa il fratello maggiore e chi il minore! Devo anche parlarvi di Sancet: è in una condizione brutal, tecnicamente è un fenomeno, sa orientarsi e orientare il controllo in modo incredibile. Segna pure, è un jugadorazo». Sono tutti partiti da giovani nell’Athletic: «In Spagna si punta molto sui giovani perché è un campionato tecnico, dove giochi in base al tuo livello e senza guardare tutto il resto. Giochi se ce l’hai, punto. E i giovani che entrano aiutano a formarne altri, e così via».

 

 

Ora la partita contro la Roma: «Sarà un doppio scontro bellissimo perché giocheremo prima all’Olimpico, che è molto importante a livello europeo, e poi al San Mamés, che per me è il più bello che esista, incredibile in ogni partita. Dobbiamo godercela. Arriviamo bene alla partita, siamo forti. E anche la Roma sta facendo bene, ha un livello alto. Spero che sia una bella sfida e una festa sugli spalti. E poi la Roma ha avuto Totti, che è sicuramente uno dei più famosi in Spagna e ha una storia di appartenenza simile alla nostra».