Durante la partita io non ho amici.
Parliamoci chiaro, vale anche per il giorno dopo se la partita non è andata come speravo. Ma questo non significa che io sia una persona cattiva e rancorosa. Mi succede quando gioco, mi capita quando guardo un match della mia squadra del cuore. È una questione di orgoglio e di puro, folle amore. Questo perché il calcio è l’esatta fotografia del mio modo di intendere la vita. Arrivare prima sulla palla significa essersi impegnato a fondo.
Vuol essere un grido scagliato contro il mondo intero. “Ci sono anch’io, e se vuoi battermi dovrai vedertela con me.”
Fare gol è il premio per tutta la fatica vomitata sul campo in settimana. Vincere è l’apoteosi.
E allora mi sento in diritto di difendere con tutte le mie forze il mio sacrificio, quello dei miei compagni e dei calciatori della mia squadra del cuore, quando mi ritrovo ad incitarli come un deficiente allo stadio o davanti alla televisione. Mi aggrappo alla malasorte, all’arbitro che non è mai dalla mia parte. So che c’è qualcosa di profondamente sbagliato, ma è la pura verità.
Semplicemente difendo ciò che è mio, ciò che mi rappresenta.