Ci sono pile di desideri irrealizzati che ognuno di noi si porta dentro. Cumuli di sogni destinati a rimanere tali. Ma io sono diverso. Ho voglia di sentirmi vivo ogni volta che scendo in campo e comincio a correre. È un sentimento che mi travolto, ha ispirato il mio modo di essere e mi ha insegnato cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Divoro la fascia chiedendo tutto alle mie gambe e ai miei polmoni, una dolce condanna che ha forgiato il mio carattere. Lontano dalla luce dei riflettori, lavando via la terra aggrappata alle ginocchia con l’acqua della prima borraccia che capita a tiro. Il ritmo del cuore scandisce i miei passi mentre mi sforzo per parlare, annebbiato dall’ennesima rincorsa. Con il sangue che si impasta alla saliva, generando quel sapore che gli altri chiamano fatica.
I miei compagni inseguono il gol decisivo. Io non riesco a darmi pace finché non disegno il cross perfetto.
C’è forza, c’è corsa, c’è spirito di sacrificio. Ma anche un pizzico di sana follia, figlia del talento che reclama spazio tra una diagonale ed un recupero disperato.
Sono il motivo per cui esiste il gioco in ampiezza. Sono un pendolino infaticabile, creo scompiglio con inserimenti e sovrapposizioni quasi mai premiate. Regalo assist e non chiedo nulla in cambio. Sono il primo a correre per recuperare il pallone quando scivola in fallo laterale.
Dedico queste parole a chi non ha mai provato, a chi non ha mai capito. Ma è meglio così.
Ostinato, fiero e geloso delle emozioni che il ruolo più bello del mondo ha saputo regalarmi.