Mi sono ritrovato a fare i conti con le mie paure.
Ma, giuro, non ho avuto paura di fare brutta figura, di ricevere fischi e farmi piovere addosso critiche taglienti. Non ho avuto paura di tutto questo, perché solo io conosco la fatica che ho fatto per arrivare fin qui. Capirò di non aver più voglia di inseguire il gol il giorno in cui, a fine allenamento, non avrò più la forza di pulire il fango che si incastra tra i tacchetti. Quel dolce peso che manca a tutti coloro che smettono di giocare. Ho avuto paura di deludere chi davvero crede in me, i ragazzi con cui condivido il campo di battaglia.
Ho appoggiato la palla sul dischetto e ho ripensato ai volti distrutti dei miei compagni nei quali sono riuscito a leggere la più grande preghiera di chi indossa parastinchi e speranza: “Per favore, non sbagliare. Fallo per noi, non sbagliare.” Questo è il mio mestiere. Fare gol. Ed è per questo che mi trovo a calciare un rigore che pesa come un macigno, all’ultimo secondo.
Ho preso la rincorsa e nel silenzio assordante che mi circondava sono riuscito a percepire il preciso istante in cui tutti quanti hanno trattenuto il respiro. Secondi che sembrano minuti, secondi che ricorderò per tutta la vita.
Come è andata a finire? Non ha nessuna importanza. Viviamo il calcio per sentirci vivi, per assorbire tutte le emozioni che galleggiano.
Sappiamo che un giorno finirà, ed è per questo che siamo così folli, così affamati.