Siamo troppo impegnati a ricercare la bellezza a tutti i costi, spesso sacrificando la vera motivazione che ci spinge a continuare ad inseguire il nostro obiettivo, a testa bassa. Siamo circondati da persone che ci indicano la cima della montagna da scalare, ma spesso queste persone sono le prime a non essersi mai sporcate le mani. Parlano, parlano e basta. Il fatto è che noi siamo nati diversi e la nostra mente funziona al contrario.
Vediamo una pozzanghera e scatta una scintilla che non ha nome. Prendiamo la rincorsa e ci lanciamo nel fango a pancia sotto, spazzando via tutte le sensazioni che imbruttiscono questo mondo: via la paura, via la vergogna. Amiamo giocare e amiamo prenderci un po’ in giro. Non importa l’età, il portiere sarà sempre considerato uno squilibrato. 15 anni, 30 anni, 50. Sono solo numeri. Quello che conta davvero ce lo portiamo in eterno tatuato sulla schiena, ma sotto la pelle. Il n.1
Perché fare il portiere non significa ricoprire un ruolo durante una partita di calcio. Vuol dire indossare i panni di un supereroe per tutta la vita, vuol dire affogare nei propri pensieri per infiniti minuti mentre i compagni sfogano rabbia correndo come matti e svuotandosi i polmoni di tutte le maledizioni. Noi portieri non possiamo permetterci questo lusso. Dobbiamo osservare ed accumulare. Gli occhi fissi sul pallone, sempre, provando a calamitare l’intero universo nelle nostre mani. Il fiato che si gonfia e quasi ci fa esplodere il petto, fino al momento in cui decidiamo di gettarci nella mischia, volando più in alto di tutti. Uno contro uno, a muso duro contro l’attaccante lanciato a rete.
Un bacio ai guanti e uno ai pali. Vivere non è mai stato così bello.