Papà,
ho ereditato tante cose da te. Ho il tuo carattere spigoloso, il tuo orgoglio, il tuo pragmatismo e, soprattutto, la tua passione per il calcio. E per questo non ti ringrazierò mai abbastanza. Ma ti devo delle scuse. Scusa perché io su un campo non ci posso stare, scusa perché non sono portiere come eri tu, non sono punta come chi avevi contro e non sono difensore come chi avevi davanti. Scusa perché io a calcio non ci so giocare, scusa perché non so stoppare, non so dribblare, non so calciare. Scusa se non ho mai potuto dedicarti un gol, se non ho mai potuto cercarti con lo sguardo in tribuna prima di una partita, scusa se non hai mai potuto essere fiero di me dai gradoni di qualche campo di provincia. Scusa se non hai mai potuto darmi consigli, urlarmi di salire, preoccuparti per un contrasto duro, analizzare una prestazione con me. Mi dispiace che tu non mi abbia mai potuto comprare un paio di scarpini, che tu non mi abbia mai accompagnato ad allenamento, che nessun mister ti abbia mai sorriso soddisfatto, che tu non mi abbia mai potuto consolare dopo una bruciante sconfitta o dare il cinque dopo una grandiosa vittoria. Mi dispiace che questo sport non sia per me. Mi dispiace perché questo è ancora un mondo per soli uomini, e io uomo non sono. Ma ti prometto, papà, che a modo mio ce la farò. Da bordo campo, dagli spalti, da una sala stampa, da una redazione, non importa. Ti prometto che non mollerò nonostante chi non capisce, chi mi giudica, chi non mi prende sul serio e chi non mi reputa adatta a questa realtà.
Non sarò mai portiere, ma ti prometto che un giorno anche tu sarai fiero di me.