Ecco la particolare storia del testamento di Van Dijk. «Era rimasto a casa per alcuni giorni, sentiva molto dolore all’altezza degli addominali e aveva deciso di recarsi all’ospedale di zona, ma i dottori non avevano riscontrato nulla di particolare e così lo avevano rimandato a casa», racconta Dick Lukkien, allenatore di Virgil Van Dijk al Groningen nel 2012.
Una situazione però precipitò ben presto: «Il dolore iniziò a peggiorare e quando arrivò la madre per vederlo si rese conto di quanto fosse grave la situazione. Lo portò in un altro ospedale e il suo aiuto si rivelò fondamentale. Virgil fu operato d’urgenza per curarsi l’appendicite, la peritonite e un’infezione al rene».
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Un malanno non da poco, anzi. Lo racconta lo stesso giocatore a FourFourTwo: «In quel momento i peggiori pensieri affioravano nella mia testa, la mia vita era a rischio. Mia madre e io pregammo Dio affinché andasse tutto bene, ma discutemmo anche su tutti i possibili scenari. Firmai anche alcuni documenti, una specie di testamento. Era un argomento che nessuno voleva affrontare, ma dovevamo farlo. Se fossi morto, una parte dei miei soldi sarebbe andata nelle mani di mia madre».
Quello che è stato nominato come uno dei migliori tre giocatori dell’anno dalla FIFA, ha rischiato di morire. Virgil Van Dijk, il gigante che noi oggi ammiriamo, avrebbe potuto non farcela. «Ho visto la morte in faccia – disse al The Mirror – ed è stata un’esperienza terribile. Mia madre ed io pregavamo insieme e, ad essere onesti, parlammo di varie situazioni che sarebbero potute accadere». A febbraio, Van Dijk è stato il testimonial della donazione di un assegno di 100mila euro al Comitato Internazionale Croce Rossa (ICRC), da destinare al ricongiungimento delle famiglie separate dai conflitti armati e da altre situazioni di violenza. Ricordarsi delle persone in difficoltà, come lo è stato lui.