Gennaro Gattuso, allenatore del Napoli, si è lasciato andare tra aneddoti, ricordi ed esperienze da allenatore ai microfoni di Sky Sport.
OBIETTIVI – «Voglio scrivere altre pagine importanti in questo nuovo mestiere. Voglio vincere qualcosa di importante, ma di là dei trofei, mi interessa avere uno stile, coerenza, credibilità, farsi seguire dai propri giocatori».
ESPERIENZA – «La carriera che ho fatto mi ha aiutato nelle dinamiche giornaliere, ma è totalmente diverso come lavoro. Serve grande conoscenza, non basta aver giocato a calcio perché il calcio è cambiato tanto, così come la metodologia. La grinta resta, è una mia caratteristica, ma è una grinta diversa, bisogna essere più riflessivi e conoscere i giocatori caratterialmente. All’inizio pensavo ai giocatori tutti uguali, ho sbagliato per qualche anno, non è corretto perché ognuno è diverso e ha una chiave diversa».
EVOLUZIONE – «Dieci anni fa vedevamo 30 minuti di spezzoni, non c’era match analysis . Oggi ci sono telecamere fisse, c’è un ‘grande fratello’, si analizzano anche gli allenamenti e non solo gli avversari. Abbiamo tanti strumenti in più per valutare la forma, è cambiato molto. Ci sono molte più informazioni, negli staff ci sono 15 persone. Oggi ci sono rose di 25 giocatori, lo staff e altri 15 fisioterapisti ed altri da gestire, hai la comunicazione che lavora con te, con altre persone. L’allenatore deve dare una linea guida a 70-80 persone, non è facile e la bravura è nel farsi capire subito. La squadra non è solo quella che scende in campo, ma tutti quelli che stanno a contatto con la squadra».
DA GIOCATORE – «La qualità era prima di tutto quella di non mollare mai, lottare, la coerenza che ti dà la fiducia della squadra e dello spogliatoio. Il lavoro quotidiano, la passione, la voglia di migliorare e col tempo l’ho fatto. Ho dedicato più tempo al calcio che alla mia persona, ho sempre pensato di fare un lavoro bello, un gioco da bambino poi diventato lavoro e non ho lasciato nulla al caso. Non immaginavo di vincere due Champions, il Mondiale, di entrare nella storia del Milan per presenze, i sogni però si avverano se lavori e non molli mai».
IDOLO – «Sì, il primo poster che ho attaccato è stato il suo, quello di Salvatore Bagni. Era uno dei pochi che giocava con i calzettoni abbassati, mi colpì, fu uno dei primi schiaffi di mia mamma perché gli rovinai il muro con l’attak».
ANCELOTTI – «Carlo è sempre stato un punto di riferimento, sia quando ero giocatore che da allenatore. C’è grande rispetto. Seguirlo? Non si può seguire, si fanno solo danni se si vuole imitare uno come lui. Per come gestisce gli spogliatoi, per come ha gestito noi, me, come continua ancora a farlo, lui ha dentro questa dote, essere credibile ed entrare nella testa dei giocatori da 20 anni. Eravamo padre-figlio ad un certo punto, non giocatore-allenatore, e se ho fatto quello che ho fatto tanti meriti sono suoi».