di Giulio Zampini
Ha poco meno di dieci anni quando Ryan Gravenberch entra nell’accademia dell’Ajax. E lo fa con due principi in testa: il cibo e il calcio, in questo rigoroso ordine. Come dimostra ai primi allenamenti del club, nelle giovanili fissati al mattino presto. I ragazzi arrivano al campo e vedono la mensa chiusa, poi si dirigono verso gli spogliatoi. Lì l’allenatore indica il programma della giornata: “Oggi facciamo questo, questo e questo. Ci sono domande?“. Dal fondo della stanza, una mano alzarsi, quella di Ryan: “Mister, a che ora apre la mensa?“. Inizia così la storia di Ryan.
Le patatine a bordo campo
Il cibo davanti al calcio, dicevamo. Come ha ricordato più volte la madre Areth: «Una volta il fratello Elgin era in piedi vicino al campo, con in mano le patatine. Ryan lo vide e smise di giocare. “Mamma, voglio anche io le patatine“, furono le sue parole». Storie di vizi e testardaggine, quella dell’olandese classe 2002. Come quella volta che per una macchia sui pantaloni chiese al mister il cambio. «Calcio di punizione per noi – racconta il padre. Ryan nota una macchia sui pantaloncini, si gira verso la panchina e fa il segno della sostituzione. Cambio? Perché? Lui non ha mai voluto il cambio! Si avvicina e ci dice: “devo indossare nuovi pantaloni perché i miei pantaloni sono sporchi. Non posso andare avanti così“».
È una prima donna, confermano i genitori. Sempre attento ai minimi dettagli, non solo in partita: se c’è una macchia nera sulle scarpe da ginnastica bianche, non vuole più indossarle e la mamma deve lavarle; quando viene trasmessa una sua gara in tv, va dal parrucchiere. Ma non solo di extra-campo vive la sua fama internazionale: molte big del calcio sono su di lui per le sue qualità di gioco, espresse fin da bambino. «Si vedeva sin da piccolo il talento. Sempre con la palla sotto al piede e con lo sguardo all’avversario. Questo è uno che sa giocare a calcio, ripetevamo in famiglia».
Famiglia che per lui, nel ruolo di calciatore, gira intorno al padre, ossessivo e maniaco della professionalità. Un padre capace di togliere l’alcool e la tecnologia dalla casa. «Da un po’ di tempo non mettiamo più bevande alcooliche in frigo, ne tantomeno teniamo i social a portata di mano. Dalle 21.00 deve spegnere il telefono, ma lui è sempre stato furbo: si portava il tablet in camera e navigava fino a tardi, così abbiamo iniziato a prendere tutta la sua tecnologia».
L’aiuto di Raiola
Il Raiola che tutti conoscono dai media, per la famiglia Gravenberch è qualcosa di diverso, una sorta di figura positiva nel mondo di Ryan. «È davvero il massimo in termini di orientamento, non potrebbe essere migliore. Ha anche colleghi che non sono lì per chiedere milioni, ma anche quando Ryan deve andare a scuola e gli autobus non guidano». Un approccio totalmente diverso, anche sul mercato: «La sua forza sta nella sala riunioni. Raiola non dice che dovresti andare all’estero, ti offre solo delle opzioni. Quando il Manchester United chiama, è suo dovere avvisarmi. Quando diciamo che vogliamo parlare, lo facciamo nel bene di tutte le parti».
Non solo il padre, ma anche il fratello Danzell – campione d’Europa con l’Olanda Under 17 – è stato importante nella crescita del piccolo di casa. A Ryan ripeteva sempre ciò che poteva fare, non ciò che aveva fatto: «Non è mai perfetto e c’è sempre spazio per migliorare». Quella di Gravenberch, d’altronde, resta una storia tutta da scrivere, con il futuro imminente – la prossima stagione – ancora nell’ombra: sarà la Roma ad avere la meglio sulle big di Spagna? Nel frattempo, Ryan continua la crescita personale con la maglia dell’Ajax, sotto la guida del padre: «Quando gli dici qualcosa, indica sempre che ti ascolta, ma fa a modo suo, e una cosa alla volta. Se gli dici di forzare di più e prendere l’iniziativa, forzerà di più e poi prenderà l’iniziativa. Si sta sviluppando a modo suo e sebbene a volte non sia il modo in cui vogliamo vederlo, lo ha sempre fatto in quel modo. Possiamo dirgli: fallo, fallo, ma è il più giovane debuttante e il più giovane marcatore di sempre, quindi cosa possiamo dire? Il suo percorso è il suo percorso. Vogliamo vedere le persone fare le cose come vogliamo, ma lui conferma: “Sto facendo le mie cose». Tempo al tempo.