di Giacomo Brunetti
Jim Valvano è entrato dall’orizzonte nel mondo dello sport. Allenatore di basket, è una di quelle figure americane che credi possano esistere soltanto nei film motivazionali e sportivi. Spiegò che «ci sono tre cose che dovremmo fare tutti i giorni: la prima è ridere. La seconda è pensare, dovremmo passare almeno un momento della giornata pensando. La terza avere ogni giorno emozioni che ci spingano a piangere».
Se su una tela dovesse essere dipinta la Sorrento di Ciro Immobile, questa dovrebbe rappresentare i tre status dell’ex cestista. Con l’eccezione che Ciro le emozioni preferisce conquistarsele senza dar loro troppo sfogo esteriore. Ha avuto davanti il proprio obiettivo e lo ha perseguito restando attaccato alla strada necessaria.
«È un ragazzo che ha creduto nelle proprie potenzialità», ci racconta l’allenatore che lo ha adocchiato nel vivaio e lanciato tra i grandi. La sliding door che ha portato Ciro alla Juventus.
Un treno e un panino
Lui è Renato Cioffi e tra il 2005 e il 2007 allena il Sorrento in Serie C. La squadra è forte e primeggia nel proprio girone con Benevento, Salernitana e Avellino. Ha in campo diversi buoni giocatori e in panchina c’è un tecnico con le idee chiare che dà tutto per il progetto. È una grande occasione per tutti. Cioffi ha una estrema dedizione al lavoro e trova terreno fertile nelle intenzioni del suo presidente, Castellano, che crede molto nel lavoro del settore giovanile, tanto da investire su tutte le squadre, dalla Beretti fino ai più piccoli.
Cioffi chiede di poter far giocare gli Allievi e la Berretti in casa quando la Prima Squadra è di scena allo stadio Italia. Finisce la rifinitura e corre a vedere le giovanili. «Voglio osservare i ragazzi con i miei occhi», ci dice. E se Ciro Immobile può vincere la Scarpa d’Oro, tanto lo deve anche alla dedizione di quell’uomo che trascorreva il sabato pomeriggio in tribuna.
Ciro ha circa 16 anni e va a scuola. Impara, scherza, ride. Jim Valvano sarebbe contento al 33,3%. «Usciva dall’istituto a Torre Annunziata e si faceva un’ora di Circumvesuviana per arrivare a Sorrento mangiando un panino per ottimizzare i tempi». Il presidente gli paga l’abbonamento pur di averlo tra i suoi, il viaggio è lungo ma dà il tempo di studiare. Di pensare. Per far contento Jim, Ciro mostra subito un grande attaccamento all’arte del pensare, del meditare. Arriva prima al campo e studia da solo gli allenamenti della Prima Squadra. Ce lo racconta Cioffi, che ci spiega come a Sorrento esista un solo campo e a partire dalle 13 le varie selezioni si allenano fino alle 22 di sera susseguendosi.
Come un mentore
Sorrento è famosa per i limoni, ci fanno di tutto. Ciro non ha tempo di goderseli: il calcio gli sta scorrendo e lui neanche se ne accorge. «Quando guardavo gli Allievi rimanevo estasiato da lui. Non era bello da vedere, si ciancolava in mezzo al campo. Ma aveva una dote importante: segnava sempre», spiega Cioffi con i ricordi nitidi. A volte si cambiava e scendeva ad allenarsi con loro per conoscerli meglio.
«Eravamo primi in classifica, ma venivamo da 4 pareggi consecutivi. Il mercoledì dovevamo giocare in coppa contro il Gallipoli. Ci tenevamo per il cammino che avevamo fatto, erano i quarti di finale», racconta. «Alla fine decisi di far giocare chi aveva avuto meno spazio, di chiamare qualche giovane e tirare il fiato. Ricordo che Ciro avrebbe compiuto 17 anni nel giro di qualche giorno. Lo chiamai per l’allenamento del lunedì con l’intenzione di portarlo in trasferta. La sera mi chiamò il responsabile del settore giovanile dicendomi che ‘insomma, il ragazzo è giovane, rischia di montarsi la testa, c’è un altro ragazzo nella Beretti che è più grande…’. Ci rimasi male. Il martedì non lo feci allenare, comunicai i convocati e tornai a casa», e poi arriva la sera che cambia le regole del gioco.
«Chiamai il padre e gli spiegai che tra Sorrento e Gallipoli saremmo passati con il pullman per Torre Annunziata. Il giorno dopo feci accostare l’autista e caricai Ciro, senza dire niente alla società. Lo portai con noi. Prima della gara ci fu un momento che non dimenticherò. Gli dissi: ‘Stai tranquillo, sei bravo e farai una bella figura’. Potevo solo immaginare la pressione che aveva dentro. Lui invece mi rispose: ‘Non è un problema, è solo una partita di calcio’. Era seguito da Inter e Napoli, ma quel giorno giocò benissimo. Sugli spalti c’era un osservatore della Juventus che doveva seguire un calciatore del Gallipoli, ma sul foglio scrisse ‘Immobile’. E a fine stagione Ciro andò a Torino».
Ciro non ha dimenticato
Un trasferimento in bianconero da 70mila euro fomentato dal padre Antonio, attaccante in categorie minori e una vita nel settore ferroviario. Merito di Massimo Filardi, osservatore bianconero che appena lo vide chiamò subito Ciro Ferrara per battere la concorrenza della Sampdoria.
Ciro e Renato si sono incontrati nuovamente, circa 7 anni dopo quel giorno. Era il 2014 e l’Italia stava preparando il Mondiale in Brasile. Coverciano è blindato ma Cioffi sta sostenendo un master da allenatore al suo interno. Appena Ciro lo vede corre a fargli festa, lasciando tutti basiti. Gli presenta Cesare Prandelli dicendo: ‘Lui è l’allenatore che mi ha lanciato’. «È stato una emozione per tutti e due», chiosa Cioffi. E il circolo di Valvano è definitivamente chiuso.