Haitam Aleesami, difensore ex Palermo dalla scorsa stagione in Francia all’Amiens, ai microfoni del portale French Football News ha svelato quali sono le differenze tra il calcio italiano e quello francese.
DIFFERENZE – «Quello italiano è un po’ più lento e un po’ più tattico, ma ho trovato più difficile più giocare in Italia. Devi essere intelligente, devi essere paziente, devi giocare sempre per la squadra. In Francia, soprattutto se giochi da ala o da attaccante, sei più libero e se perdi la palla dieci volte su dieci non ci sono problemi. Se lo fai in Italia, la partita successiva non la giochi. Qui in Francia si punta di più sull’uno contro uno, c’è meno tattica, più velocità, talento e duelli. E’ tutto diverso».
PALERMO – «Dopo tre anni avevo bisogno di stabilità. Volevo andarmene dopo la prima stagione, dopo sei mesi dissi che non avevo trovato ciò che mi aspettavo e che non era professionale quanto stava accadendo. Il primo anno abbiamo avuto tre o quattro direttori sportivi e cinque diversi allenatori, il che vuol dire anche cinque diversi staff tecnici».
RAZZISMO – «Avevamo un giocatore di colore in squadra, ma non ha giocato molto. Ad essere onesti io non ho mai avuto episodi. Non in casa, mai in trasferta. Però hanno avuto grossi problemi nel corso degli anni e l’hanno ancora. In Italia dicono che si tratta di ignoranza, che non c’è razzismo. Se uno inizia a gridare, poi lo fanno anche altri. Ho sentito più cose ignoranti che razziste».
SIGARETTE – «In Italia, ma non faccio nomi, ho visto cose strane. Prima di tutto in molti fumano e quando dico molti mi riferisco a giocatori. Ricordo il mio primo giorno a Palermo. Sono arrivato nell’hotel dove stavano tutti i calciatori e stavano per affrontare il Marsiglia in amichevole. Ho pranzato con i compagni e poi ho visto in sette o otto uscire sul balcone a fumare e gli allenatori erano lì seduti. Andai da Hiljemark e gli chiesi se erano fisioterapisti o tecnici, lui mi ha risposto ‘Ah no. Benvenuto in Italia, ti ci abituerai. Cinque minuti prima di scendere in capo, c’era sempre lo stesso ragazzo che andava a fumare, ne aveva bisogno. Anche durante l’intervallo, se l’allenatore ci concedesse cinque minuti, vedresti alcuni andare a farsi qualche boccata. Io pensavo ‘mio Dio, questo è pazzo’. Non potresti mai fare una cosa così in Norvegia, in Inghilterra o in Spagna. Non so se fosse una dipendenza, o lo facevano solo prima delle partite».