Alessandro Florenzi, ex giocatore della Roma oggi in forza al Valencia, è intervenuto a Sky Sport.
SPAGNA – «Personalmente sto bene e qui mi trovo molto bene. Sono in casa come tutti e ho la fortuna di godermi le mie creature come non ho mai avuto modo di fare. Mi alleno con quello che mi ha messo a disposizione la società. La Spagna ha più o meno la stessa situazione italiana, forse siamo riusciti ad andare un po’ prima in quarantena e per questo il contagio è stato minore».
ATALANTA IN CHAMPIONS – «Voglio ringraziare prima di tutto la varicella. Non l’avevo mai avuta ed è arrivata al momento giusto. Quella partita qualcosa ha fatto. Il ritorno è stato surreale per tutti, perché era la prima volta per noi giocare a porte chiuse. Non so neanche se si doveva giocare la seconda partita, perché ad esempio Getafe e Roma hanno deciso di non andare in trasferta per aumentare il contagio. Non so però se sia stato dovuto a quella partita».
DIFFERENZE TRA ITALIA E SPAGNA – «Sembra che qui il calcio sia più aperto. Ho constatato che c’è la stessa passione, ma non si vive come in Italia. Non si vive il calcio come a Roma. Per andare a Getafe, ad esempio, siamo andati alla stazione e ho visto che parcheggiavamo molto distanti dalla stazione e mi sono chiesto il motivo. Siamo scesi e abbiamo attraversato a piedi una strada lunghissima, senza guardie, abbiamo fatto la fila, siamo passati e abbiamo preso il treno normalmente. Non c’è quella passione che si vive a Roma, si vive un po’ più liberi».
IL MOTIVO DELLA SCELTA – «Ho sempre avuto in mente di fare una esperienza all’estero. E’ venuta fuori questa possibilità dopo aver parlato con Fonseca delle sue idee. Il mister mi ha espresso il suo pensiero, una decisione che alla fine ha fatto bene a tutti. Ho chiamato anche Mancini, che è stato molto aperto e mi ha detto che l’importante era che giocassi, non dove lo avessi fatto. »
GARCIA – «La duttilità è sempre stata una delle mie qualità. Lui lo ha capito, è sempre stato uno sveglio. Mi ha messo lui terzino destro, mi ha messo anche alto a destra, mi ha usato in diverse situazioni. E’ molto spagnolo anche se è francese. Gioca un buon calcio e sa tenere bene il gruppo. Ci siamo sentiti in passato anche per un saluto».
IL MIGLIOR FLORENZI – «È quello che sta in campo quando sta bene e con la testa libera. Quello che gioca felice. Se vogliamo parlare di terzino, mi trovo molto bene in quella posizione, soprattutto in una squadra che propone calcio, soprattutto pensando a come si è evoluto il calcio. Se un allenatore in quel ruolo vuole un calciatore di un metro e ottanta che non si alza, allora non sono quel tipo di calciatore. Ma non sto parlando della Roma, è un discorso generale. Mi trovo bene in un calcio offensivo».
CAPITANO DELLA ROMA – «Ogni bambino ha dei sogni. Fino ad ora li ho fatti quasi tutti. Volevo giocare a pallone, farlo nella città in cui tifavo e diventare un giocatore importante e capitano. Volevo giocare in nazionale, giocare in Champions e segnare dei gol. Manca ancora qualcosa: vincere un trofeo importante con il club, con la nazionale e mi manca giocare il mondiale. Non sarebbe male fare anche questo».
L’ADDIO – «Da Totti e De Rossi ho imparato una grande cosa. Che la Roma viene prima di tutto e io ho sempre cercato di fare questo, mettendo la Roma davanti a me. Ho continuato ad allenarmi a duemila all’ora senza dire una parola e rispettando i ruoli. Un qualcosa che per me è fondamentale. Il rispetto delle persone e del loro lavoro. Il mister è stato molto chiaro in questo: Fonseca è uno dei più grandi allenatori che ho avuto calcisticamente parlando. Il problema è che ci può stare che io non piaccia a lui in quel determinato ruolo. E che lui si aspetti altro da me. Ho un gran rapporto con lui e lui chiaramente mi ha detto che non sapeva quanto spazio mi avrebbe potuto dare».
I TIFOSI – «Sono molto attaccato a loro e so che anche loro si affezionano molto ai giocatori romani. Non posso negare che per me è stata una botta lasciare Trigoria, lasciare le persone che ci sono dentro Trigoria, le anime di Trigoria. Dai magazzinieri, ai fisioterapisti, a quelli del bar. Mi hanno detto: ‘Veramente stai andando via anche tu?’. Mi rimarrà sempre dentro al cuore, sono le persone che hanno vissuto con te momenti brutti dopo una sconfitta o momenti belli dopo una vittoria. Erano lì dopo Roma-Barcellona ad esempio. Ho in mente Roberto e Valerio, Maurizio e Fabio, che non sono della Roma. Di più. Quando sbagliavo un gol venivano lì e mi bacchettavano. Oppure mi esaltavano quando segnavo. Ho lasciato una famiglia. Una seconda famiglia».
ZANIOLO – «È un ragazzo speciale. Appena è arrivato era tranquillissimo e lo è tutt’ora. Piano piano ha tirato fuori qualità umane e calcistiche importanti. L’ho sempre preso sotto la mia ala protettiva. Non gli ho mai parlato quando giocava bene, ma ho sempre cercato di dire la mia quando le cose non andavano bene o quando vedevo che non si allenava al massimo. O quando era nervoso o dopo una partita storta. Quello che ho passato io non è stato facile. Tutti sanno a cosa mi riferisco. Quando ho visto quel movimento e la faccia, faccio fatica a parlarne, ho sentito di fare quello che un amico avrebbe fatto. Gli sono stato vicino e non mi sono mai sentito inappropriato ad andare all’ospedale a trovarlo o a casa sua».
GOL AL BARCELLONA – «Se dobbiamo parlare di momento strettamente personale, quello è il momento più alto. Se dobbiamo parlare di un momento mio ma di squadra ti parlo della partita con il Barcellona, ma anche quella con il Liverpool perché fare una semifinale non è mai semplice. Questi sono stati i miei momenti più alti, soprattutto nelle sfide giocate in casa. Non li scorderò mai. Ter Stegen il più forte? Non vorrei dire una cosa diversa, ma per me non è il portiere più forte. E’ Alisson. L’ho vissuto in allenamento. Facevamo le partitelle e finivano tutte 0-0 e ci chiedevamo come fosse possibile. Poi ci rispondevamo che avevamo Alisson da una parte e Szczensy da un’altra. Avevamo due grandi portieri».
L’INTER – «Se è vero che ho rinunciato ad una grande offerta? La storia inizia molto prima. Non ho rifiutato solo l’Inter, ma anche altre squadre italiane importante. L’ultima però è stata l’Inter che ho rifiutato, dicendo di no a una offerta molto importante. Mi sentivo però di continuare alla Roma, consapevole che non avrei avuto la stessa opportunità economica, perché sapevo che certe emozioni non le avrei provate da nessun’altra parte. Ho scelto con il cuore e lo rifarei».
L’ABBRACCIO ALLA NONNA – «Quello è un momento che mi tocca particolarmente. Non perché voglio sminuire mia nonna. Era la prima volta che mi veniva a vedere e tre giorni fa ha fatto 91 anni. Mi nonno era molto appassionato di calcio e ho sempre immaginato che vicino a lei ci fosse lui e l’altra nonna a cui ero molto legato. Se parlo adesso di loro mi emoziono come tutti quando parlano dei loro nonni. E’ venuto tutto molto spontaneo, le avevo detto che se avessi segnato l’avrei abbracciata. E’ stato un gesto istintivo fatto molto bene. E’ arrivato anche il soprannome: Bello de Nonna. I giornalisti l’anno cercata ovunque: chiamate a casa, citofono. Ha passato dei mesi di inferno. Non era giovanissima e quindi non è stato facile per lei».
LA ROVESCIATA COL GENOA – «Ho sempre grandi reazioni quando faccio i gol, come se non me lo aspettassi. Inoltre c’è il povero Mattia Perin in porta. Gliene ho fatti tanti di gol belli. Quello è stato un gol bellissimo, forse il mio preferito».