di Giacomo Brunetti
Carlos Freitas è uno dei dirigenti sportivi più famosi del pianeta. È l’uomo che ha venduto Cristiano Ronaldo al Manchester United, per intendersi. O Nani, sempre ai Red Devils, oppure Quaresma al Barcellona. E in Italia è stato direttore sportivo della Fiorentina.
Nella prima parte della nostra intervista di ha raccontato il suo legame con Cristiano Ronaldo, salvo poi continuare con altri giocatori incontrati durante il proprio percorso.
La prima esperienza fuori dal Portogallo, Freitas l’ha intrapresa per alcuni mesi in Grecia, al Panathinaikos. Qui trova un talento ancora grezzo, e che rifinito non diventerà mai: Sotiris Ninis, per anni astro nascente del calcio ellenico. «L’ambiente in Grecia – ci spiega Freitas – non è adatto alla crescita dei talenti. Non parlo di professionalità, ma non è lo stesso che puoi trovare in Belgio, in Italia, in Inghilterra, in Spagna o in Olanda. C’è una forte mancanza di competitività dovuta anche allo strapotere dell’Olympiacos. I greci, se guardi nella Nazionale minore, sono forti. Poi perché non si sviluppano? Credo sia un problema di mentalità: la vita è facile lì per i calciatori e non è altrettanto facile spiccare il volo quando devi fare sacrifici. Soprattutto prima della crisi ad Atene pagavano molto bene. Ma Sotiris aveva tutti i mezzi per fare una carriera migliore, neanche maggiorenne giocava in una squadra che ha vinto a Roma per 3-2 ed è stato fondamentale nello scudetto 2009».
Dalla Grecia alla Francia, dove diventa Direttore Sportivo nel 2015. «A Metz ho conosciuto Palomino. Sono arrivato lì nel 2015 e José Riga lo schierava nei quattro difensori, titolare indiscusso per velocità, uscita di palla e forza di testa. Cambiò il tecnico prima di Natale, fu nominato Philippe Hinschberger, che lo mise in tribuna. Non giocava. Quando sono andato a Firenze, lui è andato in Bulgaria al Ludogorets per prendersi la propria rivincita. E direi che se l’è presa. Ha un grandissimo carattere e gli voglio bene», ma il legame con l’attuale Atalanta non termina qui.
Nel 2016, infatti, arriva a Firenze. In rosa c’è Josip Ilicic, che è una seconda linea di tutto rispetto ma troppo, troppo discontinua. «Ricordo di una partita a Empoli. La Fiorentina vinse 4-0, Josip fece doppietta in una gara strepitosa. Faccio un paragone tra lui e Mati Fernandez. Sono giocatori che hanno bisogno di essere importanti, coccolati. Due giocatori di assoluto talento che hanno bisogno di non sentirsi uno in più, ma neanche quelli attorno a cui la squadra gira intorno. Un altro esempio è James Rodriguez: ha bisogno di essere figura importante, poi la qualità deve tirarla fuori. Merito a Ilicic che si è messo in gioco andando a Bergamo, chapeau a Gasperini per fargli tirare fuori tutto, così come con Gomez. Ricordo che trovai il Papu nel 2012/2013 in Europa Leauge quando giocava al Metalist in Ucraina, era un ottimo giocatore».
In quella squadra giocavano anche due certezze del calcio italiano: Federico Chiesa e Federico Bernardeschi. In particolar modo il primo viene scoperto proprio sotto la sua gestione e lanciato da Paulo Sousa. «In Primavera non era titolare, ma quando sono arrivato a giugno 2016 era già stato deciso che dovesse restare in rosa. La scelta fu di Paulo Sousa, ha il merito di averne riconosciuto le qualità. Lo fece esordire contro la Juventus in una posizione leggermente più centrale rispetto a quella d’esterno che lo ha successivamente caratterizzato. E Federico ha fatto tutto per meritarsi la fiducia. Ricordo anche la scelta di Gaetano Castrovilli: un’intuizione di Pantaleo Corvino, una sua scommessa personale».
Non è finita, perché un’ultima considerazione ce la regala anche su Bernardeschi, adesso alla Juventus. «Federico è un ragazzo eccezionale, calcisticamente gli riconosco una qualità tremenda per giocare ad alti livelli. Ti dicevo che la Grecia si identifica per alcune cose, e così anche l’Italia: un giocatore di 24 o 25 anni non viene considerato ancora esperto, non è maturato. In altri paesi a 22 o 23 anni puoi avere più di una esperienza. Se Bernardeschi avesse 10 partite di fila metterebbe tutto quello che ha. Non è facile farle nella Juventus, ma ha qualità individuali indiscusse. In certi momenti Ferguson ha messo Beckham in panchina: così fece Sousa con Bernardeschi, se un allenatore ti fa riposare vuole aprirti gli occhi. Non è una punizione, fa parte della traiettoria di tutti i professionisti».