di Gabriele Codeglia
9 ottobre 2019
«Quando mi hanno chiamato sono stati diretti e chiari, sono arrivato ed ho trovato delle persone con uno spessore morale alto, da loro avrò supporto e la possibilità di crescere insieme, sono persone di livello importante. Dobbiamo avere idee precise, non credo nei numeri ma bisogna concentrarsi sull’approccio alla gara. Noi siamo il Milan e dobbiamo provare a vincere ogni partita».
Comincia così l’avventura di Stefano Pioli da allenatore del Milan. Nella sala stampa di via Aldo Rossi, seduti al tavolo da sinistra a destra, ci sono Frederic Massara, Ivan Gazidis, il nuovo mister, Zvonimir Boban e Paolo Maldini.
A distanza di 273 giorni è cambiato quasi tutto: la classifica, gli obiettivi, il futuro che sta uscendo fuori lentamente da una nebbia fittissima. La sagoma di Rangnick avanza trascinando con sé dubbi, sogni, perplessità e un ennesimo nuovo progetto.
Dopo quasi nove mesi, per molti, quel quadretto è la metafora dell’Ultima Cena. C’è un salvatore, ci sono i suoi sostenitori, e poi c’e un uomo che finge di esserlo ma che invece, molto probabilmente, alla fine tradirà.
Partenza
L’ultima esperienza si era conclusa con le dimissioni, da allenatore della Fiorentina: «Sono stato costretto. Sono state messe in dubbio le mie capacità professionali e, soprattutto, umane». È il 9 aprile.
Pioli riparte dalla panchina di una squadra che è momentaneamente una ‘ex’ big. I predecessori che sono stati sacrificati, giustamente e ingiustamente, sono tanti. Clarence Seedorf, Filippo Inzaghi, Sinisa Mihajlovic, Christian Brocchi, Vincenzo Montella, Gennaro Gattuso e, per ultimo, Marco Giampaolo che all’inizio aveva predicato il bel gioco ‘a testa alta’. Guidare la rosa del Milan è l’incarico più snervante che possa capitare in Serie A da sette anni a questa parte.
La classifica parla chiaro: 14° posto. Dopo 7 giornate di campionato, il Milan ha 9 punti: frutto di 3 vittorie, con Brescia, Hellas Verona e Genoa; e 4 sconfitte, con Udinese, Inter, Torino e Fiorentina. Il tempo per Giampaolo è stato pochissimo, il feeling con la dirigenza ancora meno: ad oggi, i retroscena sulla sua esperienza in rossonero, le scelte di mercato, il progetto tecnico, restano un mistero.
Numeri
Quelli non mentono mai, nonostante il calcio non sia uno sport analitico come la pallacanestro, e il fattore ‘C’ sia variabile di non poco conto.
Il percorso di Pioli con il Milan si può dividere in due grandi fasi.
Fase 1
La prima va dal suo arrivo fino al match del 6 gennaio 2020 con la Sampdoria, a ‘San Siro’, che finisce 0-0. I blucerchiati si divorano due gol già fatti, alla fine è un punto d’oro, nel giorno del ritorno di Ibrahimovic.
In questo lasso di tempo, le giornate sono 11 per un totale di 13 punti conquistati, figli di 3 vittorie (con Spal, Parma e Bologna), 4 pareggi e 4 sconfitte. Complessivamente fanno 10 gol realizzati e 15 subiti. Gli scontri diretti e ‘meno diretti’ sono un dramma. Esce solo un punto con il Napoli in casa (che però è in piena crisi). La batosta di Bergamo è il punto più basso della stagione che potrebbe passare agli almanacchi come una delle peggiori di sempre.
Fase 2
Giusto il tempo di oliare gli ingranaggi, permettere al gigante di Malmoe di sgranchirsi le ossa e stiracchiarsi un po’ i muscoli, sempre possenti, ma meno giovani. Via Piatek e Suso, dentro Kjaer e un Castillejo che ha bisogno e deve ripartire da zero. Sullo sfondo l’oggetto (ancora per poco) misterioso si chiama Ante Rebic.
Da Cagliari a Milano, ieri sera. Un viaggio tortuoso, dopo una sosta forzata che con il senno di poi è servita come il pane per tutto l’ambiente, spogliatoio in primis. Perché, se si avesse continuato, il terremoto magnitudo 8.8 della scala Richter avrebbe distrutto la più flebile speranza di ricostruzione. Boban lascia e lo fa sbattendo la porta talmente forte che Pioli deve mettersi lì col cacciavite per aggiustarne i cardini. Il giocattolo si è rotto, provate a riparare anche quello e divertitevi come potete fino a fine estate, poi vedremo di comprarvene uno nuovo.
Impossibile che un ormai ex giocatore risollevi le sorti di una squadra allo sbando. Pregiudizi. Sfottò. Invece il segreto è quasi completamente intriso in quei centonovantacinque centimetri nati trentotto anni fa. A calcio ci si gioca con i piedi, con le gambe, ma soprattutto con la testa. Quella conta più della metà. «Faccio anche il presidente e l’allenatore, ma mi pagano soltanto come giocatore». La solita ironia sublime e tagliente di chi può permettersela. Che poi, in fin dei conti, la figura dello svedese non ha sovrastato, oscurato, e neanche minimamente spostato quella di Stefano Pioli. Ognuno al proprio posto, ognuno con le proprie responsabilità, i propri compiti e doveri. Il feeling è cresciuto in modo naturale, in modo armonioso assieme al morale del gruppo.
Nel derby, la favola dura un tempo: troppo bello per essere vero. Ma la squadra c’è, il sistema di gioco viene assorbito gradualmente. La mano di Pioli si nota come un prete nella neve.
Complice (e non poco) il lockdown, il Milan oggi si ritrova, per ventiquattrore, al quinto posto solitario. In 13 giornate sono 26 i punti conquistati: 8 vittorie, 2 pareggi e 3 sconfitte. Una media di 2 punti a partita.
Candido
Sarà che ai tempi degli antichi romani, il ‘candidato’ (dal latino candidatus «vestito di bianco») indossava una lunga tunica bianca, sinonimo di integrità, trasparenza, per infondere fiducia negli elettori. E quindi sarà proprio per quella polo bianca che indossa per ogni partita, sarà per quella sua onestà, quella sua pacatezza, tranquillità, calma. Sarà che lo hanno (scherzosamente) paragonato a Padre Pio per via di una più che lieve somiglianza. Sarà che di parole fuori posto non ce n’è mai stata neanche una e, per di più, quelle che ribadisce continuamente da settimane a questa parte fanno capire quanto il gruppo si sia cementato: oggi più che mai, uno per tutti e tutti per uno.
Però alla fine, stringi stringi, il cerchio si chiude e l’evidenza è negabile soltanto per i disonesti e gli scorretti, per chi non lo è, ma proprio lo fa.
Futuro
Ovvio. C’è una stagione da finire, il cui esito è tutto tranne che certo e scontato. Mancano 7 giornate, con partite ostiche e difficili. Ma se la matematica non è un’opinione, questo Milan ha tutte le carte in regola e i polmoni giusti per restare in apnea fino al 2 agosto.
Basandosi sulle voci e sulle indiscrezioni degli ultimi mesi, assumendole come vere (e il ché è molto più che probabile), le domande sorgono spontanee, naturali, come quelle innocenti e sincere dei bambini.
Nel calcio di oggi, dove il risultato è nient’altro che tutto, c’è ancora spazio per i valori umani? Il riconoscimento e la meritocrazia, a fronte di scelte già fatte a priori, sono utopia? Perché non aspettare? Il business e le strategie di marketing valgono più dell’essenza stessa del gioco? Stefano Pioli merita la riconferma?
Una risposta c’è ed è certa. Le buone maniere, il lavoro, la serietà, la sincerità, i sacrifici, alla fine ripagano sempre e prima o poi, caro Stefano Pioli, i nodi verranno al pettine e sarà dato a Cesare ciò che era di Cesare.