Da qualche giorno, Marco Giampaolo è il nuovo allenatore del Torino. Una scelta controcorrente del presidente Urbano Cairo, arrivata con un’obiettivo in testa: aggiungere la bellezza del gioco alla forza del club. Il Giampaolo allenatore lo conosciamo: gioco di possesso e di qualità. Del Giampaolo uomo, invece, non tutto è rimasto a galla. Come uno dei suoi tanti sali e scendi avvenuto a Brescia.
Giampaolo scomparso e ricercato
Una carriera costernata di continui alti e bassi. Uno dei culmini nel 2013, da tecnico delle Rondinelle. Lì, Giampaolo provò sulla propria pelle che la sua passione, il calcio, nasconde anche delle ombre. La stagione, incominciata male, finì dopo poche settimane. Il motivo dell’addio l’ha raccontato al quotidiano La Repubblica.
DIGOS – «Dopo la sconfitta interna col Crotone l’addetto stampa della società si presenta con due uomini della Digos. Mi dicono che bisogna andare dai tifosi per un chiarimento. ‘Chiarimento di che?’ Chiedo. ‘Bisogna andare per motivi di ordine pubblico – mi dicono- perché altrimenti di qui non fanno uscire nessuno’».
EPISODIO – «Io faccio un errore: li seguo. Passiamo davanti alla ‘tribunetta’ dove ci sono le famiglie dei calciatori, entriamo in un locale sovrastato dalla scritta “Polizia di Stato”. Ci sono lì otto o dieci ragazzi. Uno lo riconosco, dev’essere il capo, era venuto a mettermi una sciarpa al collo il giorno della presentazione ufficiale, e a dirmi che non volevano Gallo. Gli dico che con lui non parlo perché era già prevenuto. Un altro mi critica sul modulo di gioco. ‘Se non sei soddisfatto – gli rispondo – vai dal presidente e digli di esonerarmi’».
LE CONSEGUENZE – «La vivo come un’umiliazione assurda e dico basta. Avviso il figlio del presidente e allerto i miei collaboratori perché provvedano all’allenamento del giorno dopo. Mando un messaggio a Zambelli, il capitano. E non mi muovo da casa, a Brescia. Non parlo per non disturbare l’ambiente. Hanno cercato di farmi passare per uno squilibrato, hanno messo di mezzo ‘Chi l’ha visto?’, hanno cercato di farmi cambiare idea ma non l’ho cambiata. È una questione di dignità».
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