di Giulio Zampini
Ci si domandava, e si continua a farlo, il reale valore di Christian Eriksen. Per i più individualisti, era lui a dover cambiare l’Inter, mentre per tutti gli altri era la stessa Inter a doverlo mettere nelle giuste condizioni. Dopo poco più di sei mesi in pianta stabile a Milano, le qualità del danese si sono palesate con continuità.
L’evoluzione del danese
Dalla prima partita con la maglia nerazzurra, un’Inter-Fiorentina di Coppa Italia di fine gennaio, fino ai quarti di Europa League di ieri sera, l’evoluzione di Christian Eriksen è saltata subito agli occhi dei più attenti. Antonio Conte ha continuato per buona parte di stagione a fare a meno del danese. Soltanto in sette, delle ventiquattro gare disputate, Eriksen è partito titolare – e nella sfida di ieri è entrato poco prima del 60′. Le difficoltà di trovargli un ruolo all’interno di uno schema rigido come quello contiano hanno certamente rallentato il suo ingresso in rosa, ma la qualità, alla fine, in un modo o nell’altro, ha avuto la meglio.
Eriksen ai raggi X contro il Leverkusen
Sarà rimasto deluso chi pensava di rivedere nelle ultime sfide l’Eriksen delle prime settimane nerazzurre: fermo sul posto e in attesa di ricevere palla sui piedi. Quello, per la fortuna di Conte e dell’Inter, era tutt’altro giocatore, che aspettava soltanto di ingranare – anche a livello fisico – ed entrare a pieno regime nei nuovi dettami dell’ex CT della nazionale italiana.
C’è un’azione che è simbolo dell’Eriksen versione 2.0: l’Inter recupera palla nella propria metà campo, il danese innesca Moses che parte a tutta velocità in fascia e, una volta raggiunta la prossimità dell’area di rigore avversaria, con le telecamere che da un primo piano allargano il proprio orizzonte, a ricevere il retropassaggio del nigeriano è proprio Eriksen. Tutto qua? No: cambio di gioco millimetrico per Young, cross al centro e una nuova occasione di gioco a disposizione dell’Inter.
Ma l’essenza del danese è racchiusa nel minuto 65:30. Eriksen raccoglie il pallone a ridosso della metà campo avversaria – osservate il suo sguardo: mentre riceve il pallone, la sua testa è rivolta a capire la posizione dei suoi compagni -, con due tocchi lo fa avanzare di qualche metro e poi carica la gamba. Tapsoba esce per murare il tiro, Demirbay accelera il passo per provare a deviare la sua conclusione. Ma quale tiro? Quale conclusione? Filtrante per Sanchez che mette davanti alla porta a tu per tu con il portiere il cileno. Un’altra, grande, occasione divorata dall’Inter.
Da lui ci si aspetta sempre e solo qualità, e nel migliore dei casi qualità in quantità. Non per il tecnico nerazzurro, che lo ha più volte relegato in panchina a causa di una fase difensiva troppo debole. Anche nella fase di non possesso Eriksen è cresciuto, schierato da Conte come mezzala con il compito di accendere il primo pressing sugli avversari. Ci ha pensato più volte lui a togliere la carne dal fuoco. Un esempio? Il pallone rubato dai piedi di Diaby, al 95′, nella propria area di rigore – fonte video Wyscout.
Quella vista alla Dusseldorf Arena è stata un’Inter nuova anche per il modo di attaccare: se dalla sinistra il cross di Young non andava a buon fine, dalla parte opposta Moses era pronto a raccogliere il pallone e far ripartire l’azione. Un’Inter che non spreca nessun pallone non può non avvalersi della qualità di Eriksen. Il futuro di Antonio Conte passa (anche) dai piedi del danese.