di Giulio Zampini
Chissà quale sarà l’ultima canzone a risuonare nelle casse della Düsseldorf Arena. L’Inter spera non sia Joga Bonito.
L’oro brasiliano dello Shakhtar
Ricordate i palleggi telecomandati nello spogliatoio del Brasile? Robinho, Ronaldinho, Ronaldo, Adriano… Una delle tante pubblicità sportive della Nike teneva incollati allo schermo milioni di appassionati di calcio. In sottofondo quella canzone carioca che può ritornare d’attualità in questi giorni per la semifinale di Europa League. Più che Italia-Ucraina, sembrerà di giocare Italia-Brasile: 12 verdeoro – sei in campo e sei in panchina – hanno stritolato il Basilea e portato lo Shaktar a ridosso della seconda competizione europea.
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Così come per studiare le mosse del Leverkusen, anche per ripassare lo Shakhtar l’Inter ha a disposizione due gare giocate contro una squadra italiana nell’ultima stagione. Il club di Rinat Achmetov, presidente dal 1996 e con un patrimonio personale di tre miliardi di euro, è uscito dai gironi di Champions per colpa di Manchester City e Atalanta: 2-1 per gli ucraini a San Siro, 3-0 profumato di qualificazione a Donec’k. Era un altro calcio ma non un altro Shakhtar.
La punta da 52 gol in due stagioni
Dai nerazzurri di Bergamo a quelli di Milano il passo è breve. Due le sfide di quest’anno contro un club italiano, dicevamo. A San Siro lo Shakhtar ha messo al tappeto l’Atalanta solo con giochi di gambe, a saltare prima le marcature (due volte De Roon) e poi il portiere avversario (serata da dimenticare per Gollini). Al ritorno è stata la squadra di Gasperini a prendersi la rivincita con tre reti, arrivate con tap-in vincenti sotto porta. Un chiaro messaggio: contro le squadre organizzate come quelle italiane, lo Shakhtar segna (o subisce) con le invenzioni del singolo. Diventa quindi decisiva l’azione fino alla sua conclusione: quando attacca tutti accompagnano, quando difende tutti si compattano. L’Inter dovrà stare attenta alle magie del singolo: inventare tutto dal nulla è la specialità degli ucraini.
La squadra potrà anche non ruotare tutta intorno a Junior Moraes, la punta di mister Luis Castro nel 4-2-3-1 degli ucraini, eppure ogni pallone passa dai suoi piedi per finire in rete. Il gol che ha sbloccato la gara dei quarti – dopo soli 2′ – e l’assist fornito poco dopo il ventesimo minuto sono opera sua. Trentatré anni, da due allo Shaktar e una caterva di reti siglate – 52 in due stagioni.
L’attaccante naturalizzato ucraino è soltanto la punta di un iceberg fatto di qualità. C’è da fare attenzione ai tre a suo supporto: Marlos, Patrick e Taison – tutti e tre brasiliani, sulla carta d’identità e nei piedi. Il percorso creato da Mircea Lucescu – ex allenatore di tutti e due i club semifinalisti -, che ha lasciato l’Ucraina nel 2016 per cercare fortuna in Russia, è stato tramandato di mano in mano fino all’attuale tecnico portoghese – tra i due Fonseca, che ha tenuto in pugno il testimone per tre stagioni. Possesso palla, ripartenze in velocità e giocate da calcio di strada.
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Come si ferma dunque lo Shakhtar? Dire di squadra appare scontato, ma è l’unico modo per non cadere davanti alle magie dei singoli. L’Inter resta più ordinata, ma i suoi avversari l’ordine lo trovano proprio nel loro disordine: tante voci singole che insieme formano un coro. Se poi a risuonare nelle casse della Düsseldorf Arena sarà Joga Bonito, questo è presto per dirlo. La squadra di Conte è arrivata fin qui non per inerzia, ma per merito: ha tutte le carte in regola per giocare alla pari. E se lunedì sera risuonasse Luci a San Siro di Roberto Vecchioni? Un motivo in più per sentirsi a casa anche a 900 km di distanza.