di Costantino Giannattasio
Per vincere una Europa League ci vuole tanta qualità e… un pizzico di fortuna. Se nella tua bacheca ne puoi conservare sei, allora hai lavorato oculatamente. È il caso del Siviglia, che battendo ieri sera l’Inter per 3-2 nella finale della competizione, si è confermato nuovamente “Rey de Copas“. Scopriamo come la società andalusa è riuscita a imporsi in campo internazionale nel corso degli anni.
Acquisti mirati
Quando nei primi anni duemila, la società era in fortissima crisi e ristagnava in Segunda Division, l’allora presidente decise di affidare l’incarico di direttore sportivo all’ex portiere Monchi. Mai scelta fu più azzeccata. A Roma potranno contestarne pure l’operato, ma in Spagna nessuno spenderà parole negative nei suoi confronti. La politica attuata dal dirigente spagnolo parla per lui: «Hombres, y no nombres», ovvero uomini, calciatori di livello sia umano che tecnico, non nomi altisonanti difficili da integrare in squadra.
Sapete chi faceva parte del Siviglia che vinse la prima EL della sua storia (2005/06)? Dani Alves e Julio Baptista, due giovani brasiliani, sconosciuti ai più in Europa, che furono acquistati per un totale di 4 milioni di euro. Ma gli affari – e anche le plusvalenze, che di certo hanno aiutato il club nel corso degli anni – realizzati da Monchi sono davvero tanti. Ha portato al Pizjuan fenomeni del calibro di Rakitic e Luis Fabiano, ma anche Kanouté, Bacca, Gameiro, Fazio: tutti elementi, che insieme ai vari talenti – alle volte inespressi – passati per l’Andalusia (come Luis Muriel e il Tucu Correa), hanno costituito l’ossatura di una società florida e vincente.
Nell’ultima estate, l’ex dirigente giallorosso ha svolto una delle migliori campagne acquisti della sua carriera in rojiblanco. Per un totale di 81 milioni di euro, una cifra addirittura esagerata per le abitudini del club, Monchi si è assicurato cinque degli undici scesi in campo a Colonia contro l’Inter: Ocampos (dal Marsiglia), Diego Carlos (dal Nantes), De Jong (dal PSV), Koundé (dal Bordeaux), Jordan (dall’Eibar), autori di prestazioni eccellenti nell’ultima fase della sesta Europa League vinta dal Siviglia.
Intervistato dal Guardian nel 2016, Monchi ha rivelato come lavora il suo team: «Sedici persone coprono un gran numero di campionati. Per i primi mesi guardiamo tantissime partite solo per accumulare dati. Ogni mese sviluppiamo un 11 ideale per ogni campionato. Poi a dicembre iniziamo ad osservare i calciatori che rispondono ai nostri parametri».
Vivaio produttivo
Non solo un grande lavoro di scouting all’estero. Dal settore giovanile del Siviglia sono usciti calciatori di livello assoluto: basti pensare a Sergio Ramos, che ha fatto le fortune della Spagna e del Real Madrid. Ma anche Jesus Navas, l’attuale capitano, che dopo essere stato lanciato nel grande calcio dai Nervionenses e aver svolto una carriera di tutto rispetto (ricordiamo il trascorso al Manchester City), è tornato nella sua Siviglia per alzare nuovamente al cielo l’Europa League. Altro nome frutto del lavoro degli specialisti andalusi è Luis Alberto, che soltanto negli ultimi anni è riuscito ad esprimere al meglio tutto il suo sconfinato talento con la maglia della Lazio.
Capitolo a parte per José Antonio Reyes e Antonio Puerta: il primo è riuscito a consacrarsi in maglia biancorossa – diventando una delle bandiere di questo club -, il secondo invece non ne ha avuto la possibilità. Perché se Reyes è scomparso in un brutto incidente stradale poco più di un anno fa dopo aver dato tutto quello che poteva al mondo del calcio, Puerta allora ventiduenne (nel 2007) è morto in seguito ad un attacco cardiaco sofferto durante una partita di Liga contro il Getafe. La vittoria di ieri sera è anche per loro: «La Puerta del cielo se abriò para los Reyes».
Allenatori affamati
Per una squadra come il Siviglia, che non ha la disponibilità dei top club europei, non è semplice la scelta dell’allenatore. Tecnici come Guardiola, Klopp, Mourinho, sono inavvicinabili. La dirigenza, dunque, ha l’obbligo di pescare elementi di seconda fascia, che abbiano voglia di imporsi e dimostrare tutto il loro valore.
Il tecnico che allenò tra il 2005 e il 2007, il biennio segnato dalle 2 EL consecutive, fu Juande Ramos. Un entrenador che dopo una lunga gavetta era entrato nel novero degli allenatori più talentuosi di Spagna. Affidargli la panchina non fu un rischio di chissà quale portata, piuttosto una decisione particolarmente oculata. Perché è sotto la sua gestione che il Siviglia ha raggiunto per la prima volta una dimensione europea.
Caso differente per Unai Emery e Julen Lopetegui. Il primo aveva già fatto molto bene in Spagna con il Valencia, ma in Russia, con lo Spartak, le cose erano andate subito in rovina: dopo pochi mesi un incredibile esonero. L’incarico offertogli da Monchi fu una manna dal cielo per lui. Sedere su una panchina storica come quella del Siviglia rappresentava l’occasione di dimostrare alla critica calcistica che Emery non era quello di Mosca, ma potenzialmente un allenatore di prim’ordine. La storia scritta dal basco è incredibile: tre Europa League consecutive, contro ogni pronostico, dal 2013 al 2016.
La scelta di Lopetegui, invece, è stata accolta come un vero e proprio azzardo. Monchi se n’è assunto tutte le responsabilità, lo ha coccolato e fatto sentire al centro del progetto. Fiducia sconfinata per un allenatore che soltanto pochi mesi prima era stato mandato via dopo un pessimo inizio di stagione con il Real Madrid, dove era arrivato dopo esser stato esonerato dalla Nazionale spagnola. Arrivato in Andalusia, Julen ha garantito una rinnovata solidità difensiva, e ha saputo risolvere i problemi col gol che una squadra non estremamente talentuosa nel reparto offensivo aveva riscontrato nella prima metà del campionato.